Intervista a Franco Tucci, produttore di stivali da equitazione su misura

Uno dei vantaggi di questo lavoro (lavoro? direbbe ancora mio padre…) è aver la possibilità di venire a contatto con persone interessanti, che ti raccontano la loro storia. E a me piace ascoltare le persone innamorate del proprio lavoro, quelle che ti raccontano che hanno attraversato decine di avversità, ma che ancora sono lì e ci restano, perché quello che fanno lo sanno fare, lo fanno veramente bene e soprattutto dopo decenni gli piace ancora farlo.

Qualche tempo fa mi ha scritto Franco Tucci, che da 10 anni realizza artigianalmente stivali da equitazione su misura con il marchio che porta il suo nome, la sua storia mi ha incuriosita, così ho fatto qualche ricerca (anche lì ho ascoltato le storie di persone altrettanto interessanti ed informate sui fatti) ed ho scoperto che Franco è leader mondiale nel suo settore, così ho deciso di intervistarlo.

* * *

Franco, ci racconti quando è nata l’azienda che porta il tuo nome e come mai hai deciso di scegliere un settore così tanto specializzato nel ramo della calzatura?

L’azienda è nata ormai dieci anni fa, quest’anno festeggiamo il 10 anniversario, ma io mi occupo di stivali per l’equitazione da molti anni prima. Non è un mestiere che ho improvvisato insomma, è una tradizione familiare iniziata da mio padre, che lavorava come calzolaio già a 9 anni.
Mio padre ha origini calabresi, ma a 17 anni si è trasferito a Roma e anche lì ha continuato a svolgere la sua attività, producendo inizialmente calzature di ogni genere, dal casual all’alta moda, finché non è arrivato a specializzarsi e a dar vita agli inizi degli anni ‘90 ad un’azienda che produceva stivali per l’equitazione. In particolare stivali per il salto ad ostacoli su misura.
Un’azienda familiare in cui poi abbiamo iniziato a lavorare anche noi figli, diventata poi leader di mercato a livello mondiale, come prodotto e marchio.
Senonché a giugno 2006 in seguito a una serie di vicissitudini, ho deciso di lasciare l’azienda che da mio padre era passata a noi fratelli e mettermi in proprio.

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Come mai hai deciso di metterti in proprio?

Mi ero reso conto che lì non avevo margini di crescita. Era una bella azienda, leader di mercato, guadagnavamo bene, ma c’era poco spazio, vivevo un po’ nell’ombra e, a costo di rischiare, mi andava di vivere da protagonista… Quindi ho deciso di lasciare quello che avevamo fatto ed iniziare una nuova sfida.
Ho lasciato Roma e mi sono trasferito in Veneto, regione da cui proviene mia moglie, e da dicembre 2006 abbiamo iniziato a lavorare, ripartendo da zero, ripercorrendo le fasi di gavetta che già in fondo avevo fatto a Roma. Con la sola differenza che questa volta partivo avvantaggiato del mio bagaglio di conoscenze, visto che anche a Roma io mi sono sempre occupato della produzione, e quella cosa la sapevo fare bene, e non era un valore da poco.

Come sono stati gli inizi in Veneto?

Inizialmente ero solo, poi un collaboratore e poi due, fino ad arrivare a 16 persone.

Qual è l’elemento di novità che hai introdotto nella tua azienda rispetto alla precedente esperienza?

Visto dall’esterno uno magari può pensare che io abbia continuato a fare la stessa produzione di prima, e da un certo punto di vista forse è anche vero, soprattutto a livello tecnico.
Tieni presente che si tratta di equitazione e di competizione, e quindi di una calzatura molto complessa di per sé, perché deve rispondere a delle caratteristiche tecniche importanti; chi indossa i miei stivali spesso gareggia sul filo del secondo (un po’ come nel motociclismo) e se non ha accessori performanti la resa ne risente. Uno stivale sbagliato può compromettere l’assetto, mettere in difficoltà. Ed infatti è proprio sulla parte tecnica che si concentrano i miei competitor, in particolare sulle innovazioni per garantire sempre migliori prestazioni.

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Tu invece?

La parte tecnica negli anni l’avevo assorbita e fatta mia, gli stivali li sapevo fare bene ed era una buona base da cui partire per la mia nuova attività, ma a questa certezza volevo aggiungere qualcosa in più, qualcosa di mio, contaminando il mondo dell’equitazione con quello della moda.

In un mondo in cui i codici di abbigliamento sono pressoché saltati, quella dell’equitazione resta un’enclave in cui ancora durano. Credo che nelle gare per esempio ci siano indicazioni molto strette su come vestirsi, anche per i colori.
E questi codici sono così forti da essere riusciti a contaminare a più riprese il mondo della moda. Soprattutto gli stivali.
Per non parlare poi di un marchio come Hermès, che ha iniziato come produttore di selle, bardature e finimenti da cavallo…

Sì, e io ho voluto fare l’operazione contraria, ho voluto ri-portare la moda nell’equitazione.

Il processo che hai fatto tu e cioè decorare degli stivali tecnici da equitazione, puntare sullo stile, sul disegno, sulla personalizzazione oltre che ovviamente sul mantenimento di caratteristiche tecniche che ne consentano l’uso in competizioni mondiali, mi pare una cosa molto interessante.
Chiunque si sia mai fatto fare delle scarpe su misura, sa che prima della scarpa nasce la forma in legno, modellata sulle misure del piede di ciascuno. Ricordo che l’artigiano che le faceva a mio padre aveva centinaia di forme nel negozio di via San Vitale, a Bologna, e su ogni forma c’era il nome del cliente.
Immagino sia la stessa cosa anche per te, che tu parta dalla misurazione del piede e della gamba e poi sviluppi un modello, una forma in legno, vero?

Fare la forma è una delle fasi più importanti, devi prendere le misure nel modo più corretto possibile ed è una cosa difficile almeno finché non arriverà uno scanner 3D in soccorso.
Lunghezza, collo, pianta, circonferenza inizio caviglia, polpaccio, lunghezza gamba, sotto ginocchio. E questo per ogni gamba perché non è detto che le due corrispondano. Il tutto fatto a mano da noi. Con questo riesci ad ottenere una forma in tutto e per tutto identica alla gamba e su questo modelli lo stivale.
Oggi come oggi credo che al mondo ci siano solo due aziende a lavorare così, che lavorino sul gambale in legno su misura. Altri lavorano su un gambale in legno, ma un gambale potremmo dire standard. Ottenendo uno stivale standard che chiamano “a misura”, che producono avvicinandosi il più possibile alla misura della gamba del cliente e che modellano quanto è finito.

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Invece con i tuoi come si procede?

La pelle viene tagliata, cucita e montata, quindi viene bagnata e a quel punto c’è l’inserimento della forma—in legno realizzata a mano seguendo le misura di piede e gambe di ciascun cliente—e viene modellato lo stivale che aderisce lungo la forma, seguendo a perfezione la linea della gambe.

Qual è la differenza?

La differenza la vedi quando ci sono gambe particolari, con polpaccio molto grande o molto piccolo. Chi lo indossa ha una diversa percezione, lo sente come una seconda pelle ed è questo il valore aggiunto.

Ma i tuoi hanno qualcosa in più…

Io a tutto questo ho voluto aggiungere anche il design. Ad esempio con delle linee più moderne nei tagli o aggiungendo decorazioni. Nel 2007 ho inserito dei cristalli Swarovski, siamo stati i primi al mondo, e abbiamo ottenuto la possibilità di utilizzare il loro nome.

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Questo non è però l’unico modo in cui tu ti differenzi rispetto agli altri produttori di accessori per l’equitazione.

Vero, se tu vedi anche le immagini che usiamo per la pubblicità o per raccontarci, differiscono molto da quello che in genere usa questo mondo, che basa tutta la sua comunicazione sul cavallo, sul testimonial importante, mentre noi basiamo molto sul mondo della moda, sull’eleganza, la femminilità.
Non vedo perché una persona non dovrebbe volersi sentire bella anche quando va a cavallo. Credo che sia naturale volersi distinguere anche facendo agonismo.

Direi che specie per il femminile l’idea di distinguersi è fondamentale. Io per esempio non amo gli Swarovski ma te li appoggio perché consentono di distinguersi, di “brillare”.

In un mondo molto tradizionale come è quello dell’equitazione, quando ho inserito i cristalli sugli stivali pensavo che sarebbero andati bene per una o due stagioni, come novità, ma che poi avrebbero perso appeal. E invece no, li vendo tutt’ora in modo costante.

E la personalizzazione?

Diamo la possibilità di personalizzarlo al 100%, quindi ognuno può creare il suo stivale. E questo te lo fa sentire ancora di più tuo. Non solo è su misura, ma ti “assomiglia” pure perché hai avuto la possibilità di scegliere anche i minimi dettagli, di partecipare al processo di creazione.
Ovviamente nei limiti dettati dalle caratteristiche tecniche che uno stivale deve avere per l’uso che se ne deve fare.

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Ti chiedono di decorare con cristalli o altro anche gli stivali da competizione?

Sì, anche per quelli di competizione. Ovviamente in quel caso si possono fare meno cose perché il 90% deve essere nero, ma ci si possono applicare dei cristalli o dei riporti in colore o con la vernice nera. Insomma molte combinazioni sono possibili, pensa al tacchetto reggi-sperone o altri dettagli. Di base anche nella competizione c’è voglia di differenziarsi.

Quali sono i tuoi mercati di riferimento?

Tranne che in Brasile ed Argentina vendiamo un po’ ovunque, ma i mercati principali sono gli Stati Uniti, Germania, Belgio, Francia, il Regno Unito, ma anche l’Australia e Nuova Zelanda.

Hai dei rivenditori? Come funziona per le misure in paesi così lontani, non credo vengano in azienda da te solo per ordinare lo stivale?

No, infatti abbiamo del personale che abbiamo formato qui da noi in azienda su come prendere le misure ma anche osservando il ciclo produttivo, perché si devono rendere conto di come nasce uno stivale per poter spiegare al cliente finale. E poi facciamo anche un periodo affiancamento nel loro paese. Il personale così formato prende le misure e poi spedisce gli ordini a noi qui in sede.

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E il mercato italiano esiste?

Beh sì, il mercato italiano esiste e noi ci siamo ma credo copra il 3% della nostra produzione. Soprattutto il Veneto che noi ovviamente serviamo direttamente, perché il cliente viene qui da noi in azienda, ma non abbiamo agenti in Italia.

Quali sono i tuoi diretti concorrenti?

Sono certamente Italiani, poi ci sono anche aziende estere che lavorano bene ma meno.

Artigianale e fatto a mano non significa però che la tecnologia sia bandita. Che strumenti utilizzi e che ruolo hanno nella produzione?

Questa è una delle novità che ho voluto per la mia azienda quando mi sono allontanato da quella di famiglia e mi sono messo in proprio: ho acquistato un Autocad per calzature. Oltre al vantaggio dal punto di vista dei tempi—è molto più veloce che farlo a mano—è anche molto più preciso. Tieni presente che noi lavoriamo sul decimo di millimetro, a mano non si riuscirebbe. E onestamente gli “sdifettamenti”, che sarebbero necessari se il lavoro fosse fatto completamente a mano, in termini di tempo non ti consentirebbero di starci dentro con i costi.

Personalmente sono sempre più convinta che l’artigianato resta tale anche quando si utilizzano strumenti come Autocad.

Sì, perché anche utilizzando le macchine, se tu non hai la mano dell’artigiano e l’occhio allenato, ti assicuro che il risultato cambia molto. Serve anche il “sentimento”, la sensibilità della persona che lavora. Ogni scarpa prende la sua linea in base a come ce la metti tu.

Non è che puoi improvvisarti produttore di scarpe, perché io poi ci devo camminare e, soprattutto nel tuo caso, in cui poi ci si deve gareggiare e quindi garantire una determinata performance, il margine di errore non può essere alto!

Improvvisarsi produttori, specie nel mio campo, non è semplice, non ci si improvvisa.
Se però ti dicessi che su 1000 stivali che produco tutti e 1000 sono perfetti, direi una bugia. C’è un margine di sdifettamento, che correggi quando lo stivale è indossato.

Ti capita che qualcuno ordini i tuoi stivali e poi non li usi per montare o fare gare ma per andare a prendere un caffè? No perché questa è la prima cosa che mi è venuta in mente quando ho visto i vostri prodotti.

[ride] In verità è capitato e spesso lo dicono da subito, così nella produzione togli delle tecnicità equestri e lo trasformi in una accessorio da passeggio.

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Credo che sia abbastanza indicativo del fatto che stai facendo bene il tuo lavoro se a una donna viene in mente di ordinare il tuo stivale perché è bello!

Ogni anno faccio qualcosa di nuovo: un modello, una decorazione, un nuovo materiale… Insomma, a me non piace mantenere la posizione. A gennaio ogni anno inevitabilmente mi ritrovo a pensare: bene ora si inizia! Sono ancora entusiasta del mio lavoro. Lo trovo stimolante.

Credo che solo così in un periodo di crisi come quello che stiamo vivendo, in un paese problematico come il nostro, con le inabitabili grane che ognuno di noi ha, se non ami il tuo lavoro a un certo punto spegni tutto e mandi a casa gli operai.

È vero. Ma non credere, anche noi abbiamo avuto momenti di estrema difficoltà. Ho fatto un investimento folle, prima producevo uno stivale al mese e avevo attrezzature per produrne 10, ora ho sempre quelle attrezzature ma ne produco molti di più …
Insomma ho affrontato enormi difficoltà ma la differenza sta nel fatto che amo il prodotto e amo il mio lavoro, se lo facessi solo per fare soldi avrei mollato da un po’ alla prima difficoltà.

Direi che il tuo entusiasmo si sente!
Ultima curiosità, quanti giorni ci voglio a fare uno stivale?

Come immagino saprai non è che in 15 persone mettiamo mano a uno stivale alla volta ma a un’intera serie, e il ciclo produttivo è di circa 3-5 settimane.
Un elemento importante, che non è da trascurare, che a cui invece spesso le industrie non badano per far quadrare i conti, sono i tempi di asciugatura delle scarpe. Se non fai asciugare per bene una calzatura, è un disastro. Se io in fase di montaggio metto lo stivale su una forma e non ce lo lascio almeno 4/5 giorni prima di toglierlo dalla forma, il risultato è pessimo. Quando metto a mollo lo stivale e metto dentro il gambale in legno lungo tutto la gamba, se non ce lo lasci 3 giorni, tempo permettendo, non ottieni certo un buon risultato. Sono tutti tempi che devi rispettare.

co-fondatrice
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