Hayward al lavoro sul modellino di un Diplodocus

Come venivano realizzati i dinosauri per i film degli anni ’60

Magari se li ricorderanno solo quelli che erano ragazzini negli anni ’80, ma nelle giornate di pioggia, d’estate, oppure in quelle mattine tra il magico e il soffocante in cui era ammalato e dovevi startene a letto, stordito dalla febbre, mezzo addormentato ma deciso a trovare qualcosa di interessante (impresa vana) tra i pochi canali tv disponibili allora, capitava di finire sulle reti private locali, quelle coi colori sempre un po’ sbiaditi, come se qualcuno avesse passato un panno troppo caldo e con troppo detersivo sullo schermo, e lì capitava di trovarsi in mezzo a una scena di uno dei tanti film di serie C, D, magari pure Z, drammoni interpretati da attori dai capelli improbabili o roba di fantascienza di vent’anni prima, con effetti speciali che pur in un’era non ancora colonizzata dalla computer grafica sembrano già vetusti.

I miei febbricitanti ricordi del periodo delle elementari sono pieni di film di dinosauri degli anni ’60, film che non riuscii a vedere per intero nemmeno una volta, pieni di enormi lucertoloni che combattevano in polverose lande desolate e cieli di un azzurro chimico. Polverosi erano pure i dinosauri, inespressivi e rallentati, “scattosi” nei movimenti, eppure in qualche modo (anzi, forse proprio per la loro evidente artificiosità) molto più inquietanti di quelli perfetti e verosimili che i software permettono di creare oggi.

una delle tante scene dei film sui dinosauri girate a “passo uno” negli anni '50 e '60
una delle tante scene dei film sui dinosauri girate a “passo uno” negli anni ’50 e ’60

Nei cassetti della memoria che conservano quelle giornate a casa da scuola, la fascinazione che riuscivano a trasmettere a un bimbetto ammalato e la capacità ipnotica di quelle scene sono ancora ben chiare. E sono andate a costruire un immaginario che più o meno coincideva con quello dei “dinosaur film” realizzati due/tre decadi prima che nascessi: viaggio d’esplorazione/scientifico oppure naufragio – isola o landa sconosciuta – drammatica scoperta degli enormi rettili – eroe coraggioso + donnina discinta… eccetera eccetera.

All’epoca gli effetti speciali erano pane per i denti di bravi artigiani e nei film sui dinosauri una delle più interessanti coppie creative fu quella composta da Arthur Hayward e Ray Harryhausen.

Arthur Hayward al lavoro nel suo studio
Arthur Hayward al lavoro nel suo studio

I due si conobbero a Londra nei primissimi anni ’60. Allora Hayward era un’artista pressoché sconosciuto che lavorava al Natural History Museum di Londra, per il quale disegnava e scolpiva modellini di dinosauro basandosi sui fossili.

Harryhausen in quegli anni invece era già celebre per i suoi effetti visivi e le sue animazioni in stop motion—fu lui a creare il mostro de Il risveglio del dinosauro, film del ’53 che pare addirittura abbia ispirato Godzilla. Opere sue furono anche il polpo gigante de Il mostro dei mari (1955), gli alieni gli UFO de La terra contro i dischi volanti (1956), i mostri spaziali di A 30 milioni di km. dalla Terra (del ’57, ambientato in Italia, con scena finale nel Colosseo!), L’isola misteriosa (1961, tratta da una storia di Verne) e tante altre.

Hayward al lavoro sul modellino di un Diplodocus
Hayward al lavoro sul modellino di un Diplodocus

I talenti dell’uno, però, sembravano perfettamente compatibili e complementari con quelli dell’altro, e Hayward e Harryhausen cominciarono a collaborare, realizzando assieme gli effetti speciali per tre film, Gli Argonauti, del ’63, e soprattutto Un milione di anni fa (1966, con una lacera e sexy Raquel Welch) e La vendetta di Gwangi, del ’69, in cui… senti qua che trama!

In una valle perduta del Far West americano, intorno al 1900, alcuni mandriani, invece che indiani, scoprono sauri preistorici giganteschi che si sono preservati attraverso milioni d’anni. Dinosauri, pterodattili e altri mostri infestano la valle, assaltando i mandriani che cercano di scappare ad una morte certa. Ma questi eroi, con il loro “lazo”, invece che una vacca, riescono a catturare il tremendo allosauro, chiamato Gwangi e…
fonte: Wikipedia

qua sopra e di seguito, altre scene tratte dal video su Hayward; devo ringraziare Silvia Scarabello de Le Cornacchie della Moda per avermelo segnalato e aver “scoperchiato” nel sottoscritto un vaso pieno di ricordi
qua sopra e di seguito, altre scene tratte dal video su Hayward; devo ringraziare la cara e sempre attentissima Silvia Scarabello de Le Cornacchie della Moda, che mi ha segnalato il filmato “scoperchiando” tra l’altro in chi scrive un vaso pieno di ricordi

Al netto delle storie assurde, quanto lavoro c’era dietro ciascuna delle scene girate a passo uno? Com’è facile immaginare, molto, moltissimo.
Puoi fartene una vaga idea guardando questo video, originariamente prodotto nel ’67 ma uscito di nuovo fuori un paio di anni fa grazie alla straordinaria iniziativa della British Pathé—più o meno equivalente al nostro Istituto Luce—che nel 2014 ha messo online ben 85.000 filmati del suo archivio.

Protagonista del video in questione è appunto Arthur Hayward, ripreso a casa sua, nello studio, mentre è all’opera su una delle sue creazioni.

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