Plants & Prejudice: un nuovo magazine sul rapporto tra uomo e piante nella società contemporanea

L’ultima pianta che è entrata qui in casa è stata un bulbo di giacinto. L’ha comprato mia madre da Leroy Merlin un giorno in cui è venuta a Bologna a trovarci e ad acquistare una serra per il suo giardino, lei che ha il pollice verde e i limoni da proteggere durante l’inverno.
Quel giacinto poi è fiorito, ha iniziato a inondare il salotto col suo profumo («sa di domenica», ho detto io; «sa di cimitero», ha detto la mia dolce metà, che non sopporta gli odori intensi) e quindi è finito in bagno, a consumare la sua vita odorosa nel luogo tutt’altro che poetico in cui noi andiamo a scaricare i rifiuti organici dei nostri corpi.

Finché è durata, il giacinto ha combattuto con tenacia: l’odore era sempre lì, a farti compagnia la sera mentre leggevi seduto sul water, a salutari al mattino quando andavi a lavarti la faccia.

“Tutti aspiravano il suo profumo, ma ne restava sempre abbastanza per quelli che arrivavano ultimi ad annusare, ne restava sempre come prima”, scriveva Gianni Rodari in Una viola al Polo Nord, uno dei racconti delle sue Favole al telefono.

Alla fine il giacinto è morto. Se n’è andato dentro al sacco dell’umido assieme ai resti della cena, lasciando la casa un po’ più vuota, di profumo e di verde, ché da noi possono permettersi di restare solo le piante di passaggio, quelle che hanno un fine-vita programmato, tipo i fiori recisi o il bulbo del giacinto. Tutte le altre crepano inesorabilmente, nonostante ogni volta ce la mettiamo tutta, ma davvero. Persino i cactus crepano, persino i cactus.

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Non siamo gli unici, però.
La designer Katja Alissa Mueller, di base a Londra, della sua capacità di far fuori ogni singola pianta che entra in casa sua a soli 7 giorni dall’acquisto (persino i cactus, persino i cactus!) ci ha fatto persino un progetto editoriale, un piccolo magazine indipendente che si chiama Plants & Prejudice e che parla del rapporto tra l’uomo contemporaneo e le piante.

Secondo la Mueller le piante influenzano i nostri comportamenti, i pensieri, i giudizi addirittura la cultura contemporanea tanto quanto le immagini in cui siamo ogni giorno immersi e che fruiamo/subiamo per strada e dagli schermi della tv, dei computer, degli smartphone. Da qui l’idea di affidare a 7 artisti il compito di produrre altrettanti contenuti lasciando loro 7 giorni per idearli e 7 per produrli.
Il risultato è un “giardino” di testi, illustrazioni, grafiche e fotografie che ruotano attorno al concetto di pianta come oggetto di design, come tradizione, come oggetto d’amore e odio, come ricordo vivente e come convivente.

Il primo numero, uscito qualche mese fa, è dedicato—indovina un po’—ai cactus.

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