Sono mille anni e qualche minuto che stai correndo, bambina mia. Adesso siediti qui, ti pettino bene i capelli. Li pettiniamo bene, dalle radici alle punte, dalle radici alle punte. Collezioniamo i nodi, li mettiamo dentro un barattolo di vetro. Chiudi, presto, non farli scappare.
Comincia così, come una fiaba, come un viaggio a tappe—ogni tappa un ostacolo da superare, un nodo da intrecciare o sciogliere—Affiché possano fiorire, la mostra con le illustrazioni dell’artista romana Daniela Tieni e i testi di Sara Trofa, organizzata presso Tricheco Osteria (dove rimarrà esposta, in via Rialto 23a, a Bologna, fino al 18 dicembre) grazie alla collaborazione tra il BilBOlbul e il festival La violenza illustrata.
Un mostra e un percorso che parlano di violenza, tra parole e immagini che in un attimo s’infilano tra i tuoi pensieri e continuano a girare e girare, pure quando sei già uscito.
Per nulla facile raccontare la violenza sulle donne in maniera così sottile e al contempo così potente, evitando banalizzazioni e rappresentazioni didascaliche.
Daniela c’è riuscita, e mi ha raccontato come ha lavorato.
* * *
Com’è nato il progetto, Daniela?
Io conoscevo Patrizia, della Casa delle Donne: due anni fa ho partecipato a una mostra collettiva curata da loro e quest’anno mi hanno chiesto di fare un lavoro un po’ più ampio, una mostra personale, sempre sul tema della Violenza sulla donna.
Quando ho iniziato a pensare a questo progetto ho coinvolto una mia carissima amica scrittrice, Sara Trofa, e abbiamo ragionato molto a lungo, insieme su come impostare il progetto, su cosa mettere in evidenza, cosa dire.
Immagino non sia stato facile.
Sì, al di là della mostra in sé, anche sul piano emotivo è stato un progetto difficile, soprattutto all’inizio.
Ne abbiamo discusso talmente tanto, tra noi, che abbiamo raccolto una sorta di grosso plico pieno di documentazione.
Pensate di farci qualcosa, con quest’opera “dietro alle quinte”?
Per ora rimane tra noi, anche perché c’è tanto di personale.
Però ne abbiamo discusso su cosa farne. E sarà, eventualmente, un passaggio successivo.
Ad ogni modo per la mostra ci siamo volute concentrare, più che su una storia singola, su un percorso che può fare una donna che subisce o può subire una violenza più o meno grave.
Un percorso in 10 nodi.
Esatto, 10 passaggi, in una specie di metamorfosi che una donna subisce. Non diciamo esplicitamente di che violenza stiamo parlando, se psicologica o anche fisica, però si capisce che è una donna sofferente. E c’è una voce narrante, una voce protettrice, che la accompagna in questo percorso di costruzione e ricostruzione.
Affrontare un progetto del genere in due può essere un modo di alleggerire, se così si può dire, il “carico” emotivo?
Questo è verissimo. Lavorare in due ci ha aiutato molto. Comunque non è che ci siamo scelte a caso, c’è innanzitutto una grande stima e fiducia reciproca. Per me sarebbe stato molto complicato fare una progetto del genere con un’altra persona.
Per me il testo di Sara è stato di grande supporto. E ci siamo consultate reciprocamente su ogni passaggio.
Hai avuto carta bianca dal festival e dalla Casa delle donne?
Sì, nessun tipo di limite, se non quello di non rappresentare in maniera didascalica un argomento del genere.
Fare una lavoro su un tema come questo può essere molto pesante, come hai anche suggerito tu poco fa, ma alla fine può anche essere catartico?
Ben coscienti che quello che stavamo facendo sarebbe stata solo una goccia in un oceano immenso—un piccolo, minimo, umilissimo contributo—ci siamo sentite addosso una bella responsabilità. Perché magari pensi che possa passare alla mostra qualcuno che ha subito violenza, quindi ti chiedi se le immagini e i testi possano essere rispettosi: una singola parola può ferire, o riaprire una ferita, una singola immagine può fare male, evocare tante cose. Questo pensiero ci ha accompagnate durante tutto il lavoro.
Però, come dici tu, alla fine ci siamo sentite un po’ più alleggerite [Daniela, mentre ne parla, senza rendersene conto, con le mani mima un paio di ali: glielo faccio presente e lei si mette a ridere, n.d.r.]
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