Chiunque faccia teatro si trova prima o poi davanti all’ardua impresa di mettere in scena una tragedia o una commedia di Shakespeare. Ma come la racconti? con che linguaggio? in che atmosfera? in che tempo? da che punto di vista la inquadri? cosa aggiungi, quanto togli? quale particolare svisceri, dilati, ingrandisci, deformi dopo secoli di messe in scena e variazioni sul tema? Puoi fare un MacBeth “fedele all’originale” o uno pieno di mitra, auto costosissime e broker di Wall Street. Puoi fare un MacBeth per bambini, tradurlo in video-arte, scarnificarlo fino a lasciare sul palcoscenico un solo attore, senza scenografia alcuna, che schizofrenicamente interpreta tutti i personaggi.

Quante ne sono state prodotte, di locandine scespiriane, dal ‘600 fino a oggi? Probabilmente decine di migliaia. Impossibile contarle e altrettanto impossibile conoscere e trovarle tutte.
Ma Steven Heller e Mirko Ilić, gli autori di Presenting Shakespeare, un libro di più di trecento pagine pubblicato qualche giorno fa dalla Princeton Architectural Press, ne hanno raccolte ben 1100 provenienti da tutto il mondo, da quelle (quasi) contemporanee al più grande drammaturgo inglese di sempre, fino a quelle dei giorni nostri.
Il volume, il primo del suo genere, è molto più interessante di quel che potrebbe sembrare a prima vista, perché inevitabilmente passa in rassegna l’evoluzione tecnologica del graphic design negli ultimi quattro/cinque secoli, ne mette in evidenza le tendenze estetiche (magari specifiche di un periodo o di una zona), i recuperi del passato, e oltre a mostrare come la comunicazione visiva ha influenzato il tema-Shakespeare fa anche l’esatto contrario, e cioè sottolineare l’influenza che Shakespeare ha avuto sulla comunicazione visiva.

(foto via: mirkoilic.blogspot.co.uk/)

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