Stamparsi gli abiti in 3D, a casa

È la disintermediazione, bellezza. Ripeti dopo di me: di-sin-ter-me-dia-zio-ne.
E senza stare a tirar fuori trattati di economia che non sarei innanzitutto in grado di capire — figuriamoci discutere — basta constatare lo stato delle cose: mentre il web ha creato e sta creando nuove professionalità, contribuisce (talvolta come unico indiziato, altre come complice) ad ammazzarne di vecchie.
Negozi di dischi, videoteche, agenzie di viaggi, cinema, librerie, edicole… Tutti i livelli di “intermediazione” tra chi produce e chi acquista sono a rischio estinzione (e con autoproduzione, self-publishing, crowdfunding anche lo scenario delle case editrici, etichette discografiche, piccola, media e grande distribuzione, è in corso di mutazione e a rischio monopolio di colossi del web come Amazon, Apple, Google, Alibaba, e via dicendo).

Nel mondo della moda, anche se il crowdfunding — e la conseguente possibilità, pure per i piccoli designer, di poter creare collezioni finanziate dai futuri clienti in quello che è una sorta di pre-acquisto — non ha ancora sfondato, resta il fatto che il panorama ha già iniziato a mutare vorticosamente e ad avere la peggio sarà il settore “retail”, i negozi, oggi spesso utilizzati alla stregua di showroom o di “giganteschi camerini-prova” per chi poi andrà ad acquistare online (coi piccoli negozi multi-brand, già provati dalle continue aperture di nuovi “flagship store”, i monomarca, a subire la mazzata finale quando i suddetti giganti cominceranno ad assecondare il cosiddetto “showrooming”, cioè a testare di persone ma a comprare poi comodamente da casa, come ha già iniziato a fare Apple con i suoi Apple Store).

Ad aprire nuove prospettive nel settore — e ingrigire ulteriormente quelle già bigie dei commercianti — c’è anche la stampa 3D. E la possibilità, da parte dei designer, di saltare a piè pari ogni intermediario e vendere direttamente al cliente, che potrà scaricare i modelli e stamparli in tutta calma praticamente ovunque (per non parlare delle implicazioni che potrebbero innescarsi a livello di “creazione collaborativa”, qualora lo stilista volesse fornire i file “open source” da prendere e modificare a piacimento).

Ovviamente un paesaggio creativo/commerciale del genere non è ancora dietro l’angolo. La diffusione delle stampanti 3D a livello non professionale è ancora molta bassa, i prezzi pur se in continua discesa non sono alla portata di tutti e la velocità di stampa è ai limiti del ridicolo. Soprattutto a livello di materiali/tessuti i limiti sono evidenti. Ma i primi mattoni sono stati già buttati giù e anche questo muro prima o poi crollerà.

Nel frattempo si continua a sperimentare e tra i più interessanti progetti usciti negli ultimi tempi c’è quello della studentessa israeliana Danit Peleg, che per la sua tesi di laurea allo Shenkar College ha creato una collezione interamente stampata in 3D, ispirata al celeberrimo quadro di Delacroix La libertà che guida il popolo e alla sua struttura “a triangolo” a livello di composizione della scena.

La Peleg ha impiegato circa 2000 ore per stampare — in collaborazione con un laboratorio e un’azienda di stampanti 3D — i cinque outfit (scarpe comprese!) utilizzando un materiale chiamato Filaflex, che ha la caratteristica di essere piuttosto flessibile.
Certo, i risultati e i tempi necessari sono ancora lontanissimi dall’accettabile ma se serviva una prova del fatto che il futuro è già qua e in tanti dovranno cominciare a studiare strategia per affrontarlo senza rimetterci la pagnotta, beh la prova ce l’ha data questa studentessa ventisettenne.

(foto: Daria Ratiner)
(foto: Daria Ratiner)
(foto: Daria Ratiner)
(foto: Daria Ratiner)
(foto: Daria Ratiner)
(foto: Daria Ratiner)
(foto: Daria Ratiner)
(foto: Daria Ratiner)
(foto: Daria Ratiner)
(foto: Daria Ratiner)
(foto: Daria Ratiner)
(foto: Daria Ratiner)
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