Tolta mia nonna, che crede che un antropologo sia un medico specializzato in artrosi e in quella che lei chiama scropolosi (l’osteoporosi), la maggior parte delle persone sa benissimo cosa sia, anche se ad alcuni la parola antropologia evoca ancora un tizio pacato, generalmente bianco, circondato di assistenti e servitori indigeni, vestito da esploratore inglese d’inizio ‘900, alle prese con lo studio di cannibali selvaggi in lontani paradisi tropicali. Se questo poteva essere vero appunto a inizio ‘900 oggi lo studio dell’uomo dal punto di vista sociale e culturale (sorry nonna, per la tua scropolosi devi rivolgerti a qualcun altro) si fa molto spesso “dietro casa”, cercando, analizzando e raccontando “l’altro da sé” nei capannoni pieni di anziani che giocano a bingo e tra i ragazzini che comunicano su whatsapp e vivono col naso schiacciato sui loro smartphone, nelle convention dei fandom e tra le maglie delle strettissime reti allacciate da connazionali che si sono trasferiti in un paese straniero.
Anzi, spesso le letture più interessanti e illuminanti escono fuori proprio dall’esplorazione delle nicchie, delle abitudini e dei riti che stanno proprio sotto al nostro naso, a caccia dell’esotico nel rassicurante e del rassicurante nell’esotico, che è poi esattamente il tema attorno al quale girano i contenuti di Peeps (to peep, significa, tra le altre cose, sbirciare), nuova rivista di antropologia dedicata ai non-antropologi.
Tra l’hip hop dei ghetti di Belgrado, l’enorme crescita del mercato degli smartphone in India e il fenomeno losers in Cina, il primo numero è dedicato alla tecnologia e alla sua influenza sulla cultura contemporanea. Un primo numero che non è ancora uscito, a causa del mancato raggiungimento del budget necessario su Kickstarter ma che, a quanto dicono i fondatori del magazine, pare ci sia l’intenzione di mandarlo in stampa comunque, seguendo altre strade.