Cominciamo a disegnarli fin da bambini, anche perché con poche, semplici linee — due cerchi su cui far torreggiare un cilindro dalla punta arrotondata — è possibile farne uno ben riconoscibile con cui decorare le copertine dei quaderni del compagno di banco, i muri dei bagni pubblici, i vetri sporchi delle auto parcheggiate, le finestre (alitandoci prima un po’ su).
Ma i ragazzini sono in buona compagnia: li disegnavano gli antichi romani, li disegnavano i greci, gli etruschi, gli assiri, i babilonesi, i fenici, persino gli ittiti. Li disegnavano nell’antico egitto (rigorosamente di profilo). Li disegnavano nel lontano e nel vicino oriente, nell’America pre-colombiana e nella fredda Scandinavia. Ma pure i preistorici si davano da fare: il più antico mai ritrovato — scolpito, però, non disegnato — risale addirittura a 28.000 anni fa.
C’è chi lo fa geometrico e lineare, quasi robotico, e chi invece indugia in dettagli: pieghe, “elmetti”, sistema circolatorio in bella evidenza, qualche pelo per dare idea di calore umano…
Chi fantastica sulle dimensioni e chi lo vede ovunque: nei volti, nei loghi, nei grattacieli, nei cornetti portafortuna.
È da 30.000 anni, dunque, che l’uomo ritrae il fallo, il pene, il cazzo, il (completa a scelta con uno dei suoi mille e più nomi, persino di più di quelli del diavolo) e non esiste praticamente homo sapiens sapiens a non averne abbozzato uno.
Proprio per questo il sito Pecker.World (pecker, in inglese, è appunto uno dei tanti modi di dire cazzo), lanciato il giorno di San Valentino, ha deciso di provare a raccogliere la più grande collezione di peni illustrati, chiedendo ad artisti e designer di inviare il proprio (non letteralmente, ovvio).
L’idea è di raccoglierli online ed eventualmente farne una pubblicazione.
Per ora, sul profilo twitter @PeckerWorld, ogni 7 giorni viene eletto il “cazzo della settimana”.
Qua sotto, cliccando su MOSTRA, puoi vedere i primi quattro.
Bigotti e minori di 18 anni s’astengano.



