Chi ha avuto la fortuna di starsene ad ammirare, da bambino, una nonna o una vecchia zia alle prese con l’arte del ricamo, sa bene che — nel ricordo — vedere quelle mani sapienti al lavoro su un corredo, una tenda o un centro tavola non era soltanto un’esperienza visiva ma andava a innescare tutta una serie di tasti sensoriali, tra odori e sapori (io ad esempio associo mia nonna e le sue tende all’aroma della mentuccia con cui preparava una squisita frittata), sensazioni tattili e perfino una colonna sonora.
Scherzi della mente, che più tempo passa e più si focalizza su alcuni singoli elementi magari separati ma tessendo loro intorno un vero e proprio “film”.
Eppure il ricamo può davvero trasformarsi in musica. Dopotutto quelli “disegnati” da ago e filo e dal sapere artigiano di chi lavora i tessuti non sono che pattern, schemi che si ripetono, esattamente come quelli dei cilindri che azionano le lamelle dei carillon oppure i pianoforte che leggono le schede perforate (non troppo diverse da quelle dei telai jacquard).
Partendo da questo concetto Zsanett Szirmay e Bálint Tárkány-Kovács — textile designer lei e musicista e compositare lui, entrambi ungheresi — hanno realizzato Sound Weaving, un’installazione che “suona”, letteralmente, i pattern di alcuni ricami tradizionali della loro terra.
Il risultato è magico. E anche se passa attraverso la tecnologia (schede tagliate al laser per “tradurre” gli schemi dei ricami e, per chi vede il progetto su web, software audio, pixel e video YouTube) il sapore è quello rassicurante delle cose fatte lentamente, a mano, dietro alla finestra di qualche casa, per catturare anche l’ultima luce del giorno a illuminare un lavoro di pazienza e di sapienza.