Quello dell’illustratore — a parte quei pochi nomi che sono riusciti a ritagliarsi una loro fetta di mercato a livello internazionale e a costruire un pacchetto di clienti prestigiosi — è notoriamente un lavoro sottopagato. E capita che accanto alle opere personali e a quelle commissionate dal mondo dell’editoria (per libri, periodici, quotidiani), per portare a casa la pagnotta ci si debba sporcare le mani nel meno nobile mondo dei prodotti di consumo, prestando penne, pennelli, mouse e ingegno a marchi di moda, banche, aziende alimentari, produttori di fazzoletti da naso…
Questo salto nel “lato oscuro” c’è chi lo fa in gran segreto, cercando — col volto paonazzo al solo pensiero — di non farsi scoprire dai propri simili; e c’è invece chi lo fa alla luce del sole, provando anzi a rendere il più dignitoso possibile, quando non addirittura a nobilitare, il lavoro richiesto dal cliente, considerandolo una sfida di cui andar fieri e non una sorta di prostituzione, da fare a occhi chiusi e tentando di dimenticare al più presto non appena ricevuto il bonifico.
Quando la chimica funziona, il committente è particolarmente illuminato e la buona sorte ci mette lo zampino, quel che ne esce fuori — commerciale o meno — è sicuramente un’opera da mettere con orgoglio nel portfolio. Esattamente come quelle raccolte in questo libro, Illustrative Branding, dedicato proprio a tutte quelle case histories virtuose in cui l’illustrazione e prodotto (o marchio) s’incontrano e si sposano alla perfezione.