Leonardo Lelli | foto: Francesca Arcuri, Frizzifrizzi

Il caffè dalla A alla Z

È fine novembre quando, per il terzo anno di fila, durante le giornate di Enologica, incontro Lisa e Leonardo Lelli della Torrefazione Caffè Lelli di Bologna, e più minuti passo con loro, più mi accorgo della totale ignoranza — mia in primis — che circonda il mondo del caffè.
È un luogo comune quindi, un mito da sfatare, quello che vuole l’Italia come la nazione del caffè? Siamo o non siamo i più bravi a scegliere, comprare, trattare e bere il caffè, il nostro è il miglior caffè?

La lacuna va colmata! Così in un’umida mattina di dicembre, vado ad assistere alla fase della torrefazione nell’azienda dei fratelli Lelli e mi faccio raccontare da Leonardo il suo mondo, dalla A alla Z. Non colmerà la mia/nostra ignoranza ma da qualche parte si deve pur iniziare!


A di ARABICA

È la specie più importante nel mondo caffè, quella che ha più aromi, quella più ricercata. Perché il profilo aromatico dell’arabica è molto complesso, variabile in base alla zona di produzione e alla varietà, per cui ha una complessità molto importante. Ci sono anche delle varietà molto ricercate dagli acquirenti, dai giapponesi in linea di massima, che sono disposti a sborsare cifre altissime all’asta per caffè particolari di cui si fa pochissima produzione.


B come BAR

È vero che in Italia il caffè si beve di più a casa, fatto con la moka, ma il giro di affari maggiore è nel consumo da bar. Il bar è il luogo dove per eccellenza si consuma il caffè in Italia fuori da casa.


Ciliege, Repubblica Dominicana | foto: Torrefazione Caffè Lelli

C come CILIEGIE (suggerisco io), ma lui preferisce COFFEA

Famiglia delle Rubiacee, genere Coffea. La pianta da cui nasce il caffè.

E poi comunque…
C come CAFFÈ

Che in Italiano significa tutto, luogo dove lo prendiamo, ma caffè è anche la tazza, caffè è il grano, caffè è il macinato, caffè è il crudo, caffè è tutto. Il prodotto, la bevanda, il luogo fisico e fa sorridere, per una lingua ricca come la nostra di sinonimi, che ci sia una sola parola per dire caffè!

E anche…
C come CONOSCENZA e C come CONDIVISIONE e anche C come CONSAPEVOLE, consumo consapevole!

Il mondo del caffè è un mondo vastissimo in cui non si finisce di imparare, che va approfondito ogni giorno e divulgato.
Pensa ai ristoranti: non c’è qualcuno che ti spiega o ti guida nella scelta del caffè, perfino in quelli di fascia molto alta. C’è qualcuno che ti accompagna nella scelta del vino, dell’acqua, dei lievitati, degli oli, ma non c’è quasi mai qualcuno che ti guida nella scelta del caffè…
Perché pare quasi che in Italia tutti debbano sapere e invece nessuno sa, perfino tra gli addetti ai lavori. Insomma pochi sanno.


Assaggio, India, 2012 | foto: Torrefazione Caffè Lelli

D come DOLCEZZA? Perché ho letto che insieme all’aroma, al sapore, all’acidità, alla mancanza di difetti e al retrogusto entrano nella valutazione dei migliori caffè, giusto?

Sì tutti questi aspetti entrano nelle valutazioni. A livello internazionale esiste la “Cup evalutation form”, una scheda di valutazione americana che è internazionalmente riconosciuta e che fa una valutazione in cui entrano anche i parametri che hai elencato tu, e ne definiscono il punteggio.
100 è il massimo, ma gli “speciality coffee” sono quelli che superano 85. Quindi non c’è il caffè migliore al mondo ma certo ci sono modi per valutarne la qualità.


E come metodi di ESTRAZIONE, argomento che mi interessa particolarmente.

Ci sono tantissimi metodi di estrazione, così come non c’è il caffè migliore non esiste il metodo di estrazione migliore.
Il più diffuso è l’infuso: polvere di caffè e acqua. Stanno lì fermi e non si deve fare null’altro.
Poi c’è ovviamente l’espresso, il percolato che può essere fatto in tanti modi.
Ogni metodo ti sottolinea una parte aromatica del prodotto, per cui tu scegli il prodotto in base al metodo di estrazione e a quello che tu vuoi percepire.

Ma esiste una diversa tostatura a secondo del metodo di estrazione usato?

È luogo comune pensare che si faccia una diversa tostatura del caffè a secondo del metodo usato per estrarlo ma in verità io non solo non la faccio ma dubito fortemente che la facciano anche gli altri. Esiste — dovrebbe esistere — una tostatura unica, che è quella che esalta al massimo le caratteristiche del caffè, il suo valore aromatico, e io come torrefattore, nel rispetto del prodotto, devo cercare di esaltare al massimo queste caratteristiche, non modificandole con il mio lavoro, non esaltandone una a scapito di un’altra o viceversa. Cosa che invece normalmente viene fatta.
Io cerco di esaltare al massimo il prodotto, poi sta al consumatore scegliere quello che è più adatto alle proprie esigenze.
Esempio banale: per un percolato si richiede un caffè con elevata acidità. Normalmente perciò si fa una tostatura “light”, in modo che il caffè esprima solo l’acidità e non tutto il resto, ma in questo modo io non ho espresso al massimo il profilo aromatico, ma solo un po’, per ciò che mi interessava.
Diverso — e per me corretto — sarebbe che io faccio il mio lavoro: tosto al meglio il caffè e poi il consumatore che vuole utilizzare il percolato compra un caffè che abbia come caratteristica distintiva l’acidità.
È sbagliato secondo me modificare un prodotto della terra cambiandone le caratteristiche quando invece basta scegliere quello adatto alle proprie esigenze. Sarebbe sufficiente avere maggiore conoscenza dei prodotti che sono sul mercato: la cultura del caffè deve crescere.

Ma non siamo la nazione del caffè? [Lui mi guarda perplesso quindi aggiungo:] Forse dei caffè come luoghi di incontro?

No, in verità neanche quello. Noi abbiamo inventato i bar. Bar sta per barra, il bancone a cui ci si accosta e si consuma velocemente. Quindi non certo un posto dove incontrarsi e restare seduti. Non credo che ci sia altro posto al mondo dove il caffè si consumi in questo modo; altrove ci si siede!


Racconla manuale, Azienda Daterra, Brasile, 2013 | foto: Torrefazione Caffè Lelli

F come FILOSOFIA del caffè

Intesa anche come cultura del caffè, come modo di vivere il prodotto. Non un prodotto da consumare in modo abitudinario, ma da usare per il proprio piacere.


G come… GATTO, risponde Leonardo.
GROWING, suggerisce Lisa, la saggia sorella al suo fianco. Ma Leonardo rilancia: JAVA. Java è con la J, lo interrompe Lisa. Sì, Ma la pronunciamo con la G, dice ridendo Leonardo.

Java è l’arcipelago in cui gli Olandesi studiarono e applicarono per la prima volta un processo meccanizzato per la lavorazione della ciliegia. Processo che viene utilizzato ancora adesso.


H come HARVEST

La raccolta del caffè che è, come per tutti i prodotti della terra, una fase importantissima. Un giorno in più o in meno, una pioggia o una giornata di sole, possono condizionare la qualità del prodotto. Pensa a cosa avviene per l’uva.

Quando si raccoglie?

Dipende dalle latitudini, in generale all’equatore tutto l’anno, sotto l’equatore nella nostra primavera/estate, e sopra l’equatore nel nostro autunno/inverno. Questo in generale. Poi, in particolare, si deve vedere anche l’altitudine e di che tipo di caffè stiamo parlando. Ci sono luoghi in cui è raccolto tutto l’anno, ci sono periodi in cui si raccoglie di più e periodi in cui si raccoglie meno, ma in generale vale questa regola.


Leonardo Lelli in visita all’Azienda Daterra, Brasile, 2013 | foto: Torrefazione Caffè Lelli

I come INSETTI (e sorride)

Quelli che stanno funestando il raccolto in centro America. Degli insetti che si attaccano alla pianta come un fungo e poi attaccano le ciliegie danneggiando il raccolto.


L come LELLI?
Leonardo tenta di sviare ma io non transigo: è arrivato il momento che racconti la sua storia.

Il primo contatto con il caffè è stato circa 30 anni fa, quando lavoravo in un’azienda che produceva macchinari per il controllo qualità nel mondo alimentare. Tra questi prodotti c’era anche il caffè, che mi ha rapito!
Da lì ho iniziato a conoscerlo, studiarlo, approfondirlo, fino a quando ho scoperto che il caffè che veniva bevuto mediamente in Italia non era minimamente all’altezza di ciò che si poteva trovare come qualità.
Quindi ho avuto l’idea di proporre a mia volta questa qualità, e l’idea imprenditoriale di aprire la torrefazione nel 1996, rivolgendomi a chi come me potesse apprezzare questi aromi.
Vendo alle caffetterie, non tanto ai bar. Comunque in quei luoghi dove c’è attenzione per il prodotto che si serve: la ristorazione di qualità, i locali gourmet, le enoteche, ma ho anche prodotti adatti all’uso domestico.


Raccolta dati durante la torrefazione | foto: Francesca Arcuri, Frizzifrizzi

M come MOLIENDO CAFÈ

Fu una nostra idea, nata una decina di anni fa ed andata avanti per circa sei/sette anni: era un evento in cui gli chef si misuravano con il prodotto caffè come ingrediente, sfruttando l’aromaticità del prodotto estratto magari in modo particolare, da abbinare ad altri ingredienti per costruire il menù di una cena tutta a base di piatti che avessero all’interno anche l’ingrediente caffè.
Negli anni hanno partecipato chef come Igles Corelli (che con noi ne fu il promotore ), Bruno Barbieri, Massimo Bottura, Mario Batali…
Lo chef diceva che effetto voleva ottenere e io suggerivo il tipo di caffè da utilizzare e il tipo di estrazione. Nei piatti ottenuti non è che si capisse che era stato utilizzato il caffè perché non era dominante rispetto all’insieme.


N come NEPAL

È l’unico paese al mondo in cui si coltiva caffè fuori dall’area tropicale. Un caffè di altissima qualità. In una piantagione organica, gestita da una imprenditrice che ha cercato di coinvolgere molte donne dei villaggi circostanti e ha ripristinato quella che era un inizio di piantagione, con metodi biologici e facendone una delle eccellenze dei caffè gourmet.


O come OPPOSIZIONE

Opposizione ad alcune pratiche diffuse nel mondo del caffè; vedi, per esempio, la lettera Z.


Leonardo Lelli in una “coffee nursery”, Panama, 2009 | foto: Torrefazione Caffè Lelli

P come PRODUTTORI

Sono un anello fondamentale per la qualità del caffè perché loro possono decidere di fare una produzione intensiva o estensiva, a seconda che privilegi qualità o quantità.
Noi ci sentiamo ambasciatori delle piccole piantagioni dove i produttori dedicano la propria vita a cercare di produrre meglio.

Come fanno in paesi del genere a decidere di produrre qualità e non quantità? Conviene a loro economicamente di produrre un caffè di qualità anche se in quantità ristrettissime?

Sì certo, altrimenti converrebbe loro fare altre produzioni più redditizie. Pensa alla Colombia, alla Bolivia… Togliendo quelli illegali, ci sono altri prodotti come cotone, grano o altri ancora che sono più redditizi anche perché si possono raccogliere più volte all’anno. L’unico modo che il produttore ha di sopravvivere è di produrre poco ma bene, produrre meglio. Ed è una cosa di cui, da una decina di anni a questa parte, stanno prendendo sempre più coscienza.
Non a caso da alcuni anni è nata l’asta dei caffè migliori e la “Cup of Excellence” che è il premio — in denaro — che all’interno di ogni paese produttore, soprattutto in centro e sud America, viene assegnato ai piccoli produttori che lavorano meglio. Queste sono produzioni che vengono vendute all’asta del caffè, che è un’asta online e sta fuori dei meccanismi della borsa merci.

Come li fate i vostri acquisti?

Mi avvalgo di intermediari, per comodità rispetto agli adempimenti doganali e di spedizione, ma conosco sempre i produttori di cui acquisto i prodotti, visito le piantagioni, scelgo la produzione. Quanto agli “speciality coffee”, di cui si producono pochi sacchi, si vendono all’asta e possono raggiungere anche cifre altissime. L’asta si tiene dopo la prima lavorazione, quella successiva alla raccolta; si fanno assaggiare i campioni e poi si dice quanta disponibilità c’è. E parte l’asta online.


Cofee Cup tasting, Repubblica Dominicana, 2008 | foto: Torrefazione Caffè Lelli

Q come QUALITA’

Parola forse un po’ abusata, tutti credono di produrre qualità ma in verità per parlare di qualità nel caffè ci sono dei parametri abbastanza determinati. Parlavamo prima della “Cup Evalutation form”, che fornisce dei parametri per misurare la qualità oggettiva di un prodotto. Poi questo può non piacere, perché il gusto è soggettivo, ma dal punto di vista della qualità non possono esserci dubbi. Deve rispondere a determinati requisiti e questi requisiti sono tanti, partendo dalla varietà, dalla specie, da quando viene raccolto e lavorato, da come viene tostato e così via. Su questi non si può discutere.


R come ROBUSTA

La robusta intanto è una di quelle specie che ancora oggi viene utilizzata prevalentemente per creare delle miscele a basso prezzo, che abbiano come caratteristiche la cremosità e la corposità. Nel mondo della qualità molti non la riconoscono neppure. E in realtà la Robusta, se trattata nella maniera corretta, quindi se raccolta e lavorata in modo giusto, può avere il suo perché, può avere delle caratteristiche di qualità.
Sicuramente non ha profili aromatici ampi, ma se prendo certi prodotti, per esempio indiani, che ricordano il gianduia, mi dici che non ti piace? Certo a differenza di una arabica, che ha profili aromatici ampi ed in continua evoluzione, quella sa solo di gianduia, solo di gianduia e di niente altro che di gianduia. Forse è un suo limite, ma certo il sapore di gianduia non è cattivo! Noi, per esempio, abbiamo prodotti di Robusta, che vendiamo anche in purezza.


Fiori e ciliegie di canephora (la varietà detta commercialmente “Robusta”), India, 2012 | foto: Torrefazione Caffè Lelli

S come SELEZIONARE

Bisogna viaggiare, andare in piantagione! E questa è una cosa che nessuno dei miei colleghi torrefattori fa, soprattutto in Italia. Ma il prodotto viene da lì quindi è lì che bisogna andare, lì dove si produce, e assaggiarlo, cercando di capire il terreno, il microclima, i diversi processi per ottenere il grano di caffè. Anche perché ogni processo dà vita a una tazza differente.
La conoscenza, la ricerca, la selezione del prodotto è tutto un insieme.


T come TORREFAZIONE

La torrefazione è una cosa abbastanza complessa.

Pochi minuti fa ti ho visto all’opera, eri all’erta con tutti i sensi: vista, udito, olfatto, tatto. Quindi mi chiedo: quanto conta la competenza, la perizia, la manualità del torrefattore rispetto al prodotto?

È fondamentale. Molti cuociono il caffè, non lo tostano. Dove per cuocere intendo mettere un prodotto dentro un forno per un tot di minuti, far raggiungere una determinata temperatura e poi toglierlo.
Tostare artigianalmente invece vuol dire entrare nel chicco e seguire quella che è la sua trasformazione chimico/fisica, che porta poi alla produzione della parte aromatica, quindi un’alchimia che va seguita e non può essere fatta da una macchina. Ecco l’artigianalità.
Bisogna innanzitutto conoscere il prodotto che si tosta, aver presente dove è nato, sapere cosa aveva intorno, pensare a cosa può esprimere perché quello è il suo DNA, e tostarlo in funzione di questo.

Il metodo di tostatura, al di là dei minuti, resta lo stesso per tutti i caffè?

No, ciò che varia è quello che si chiama “profilo di tostatura”. Il come raggiungo determinate temperature in un arco di tempo. È una curva. E come questa curva viene disegnata durante la tostatura determina il raggiungimento di quel prodotto che dicevo prima: pieno di aromaticità. L’espressione di quel determinato caffè viene dato da questo profilo. Il profilo può cambiare. Cambia a seconda dei prodotti ed è fondamentale. E può essere controllato solo dall’uomo e non da una macchina.
È il tostatore a servizio del prodotto e non viceversa. Se conosci il crudo, se conosci la sua potenzialità, poi in tostatura non devi fare altro che portarla a esprimersi al meglio senza aggiungere la tua impronta… come ti insegnano a fare. Se tosti in modo costante sei tu che decidi che cosa deve esprimere il prodotto, sei tu che dai un indirizzo. La stessa caratterizzazione.

È cambiato negli anni il tuo stile di tostatura?

Sì, certo. Perché cambia il prodotto. Non bisogna mai dimenticare che il caffè è un prodotto della terra, quindi cambia a seconda dei raccolti, risente dei cambiamenti climatici e quindi deve cambiare anche il modo con cui tu lo tratti.

Io però parlavo di “interpretazione”, di “gusto”, di “stile” di tostatura.

Sì, è cambiato, ma non per me. Perché io ho sempre puntato a esaltare il prodotto e a mettermi al servizio del prodotto, assecondandone le caratteristiche. Mentre all’inizio ero il solo a farlo adesso altri hanno capito che questa è la strada da percorrere. Sta cambiando il mercato: prima si cuoceva e basta, ora si conosce di più il prodotto, quindi si sta cambiando anche metodo di tostatura.


Essicazione su “African Beds”, Panama, 2009 | foto: Torrefazione Caffè Lelli

U come UN EURO

Il prodotto artigianale vale il doppio non perché ci guadagniamo il doppio ma perché la qualità del prodotto di partenza vale il doppio. Questo con una corretta informazione e in un banco di distribuzione può anche starci: il consumatore è posto davanti a una scelta per fasce di qualità e prezzo. Al banco del bar, invece, il caffè, qualsiasi caffè, costa 1 euro circa!
E come fa a costare 1 euro? Non ci si sta dentro! Dovrebbe costare come minimo 2 euro e poi da lì dovrebbe esserci una differenziazione in base alla qualità. Però se ci fai caso appena il caffè al banco aumenta di 10 centesimi ci riempiono pagine di giornale.


V come VACCINI. E Leonardo ride

Mi vengono in mente tutti i vaccini che, negli anni, ho dovuto fare per i viaggi che faccio. Le piantagioni che visito sono ovviamente considerate “zone rurali” quindi ovviamente devo avere tutte le coperture sanitarie.

quindi anche
V come VIAGGI.
Come lo bevono il caffè nelle piantagioni?

Dipende, ma in genere percolato o in infusione.

E tu a casa tua come lo bevi?

Se mi ricordo di prenderne — in verità rimango spesso senza — o con la moka o per percolato. O al massimo bevo il tè, di cui mi sono innamorato quando siamo stati in India, perché il produttore con cui trattiamo produce anche tè. Ed era tutto un alternarsi di rito del tè e rito del caffè.

In effetti per la R potevamo anche parlare del RITO. Che in Italia non esiste, noi il caffè lo beviamo di fretta e al bar.

Sì, lo butti giù veloce al bancone, senza domandarti neanche che stai bevendo, se esiste un’alternativa. Invece il rito è la consapevolezza. E se ci pensi si è talmente lontani, ormai, da questo rito che non sanno neanche servirtelo quando ti siedi in una caffetteria. Con grande probabilità ti arriva un espresso senza crema, perché anche il professionista è abituato a servirtelo velocemente. Ma se lo prendi seduto richiede tempi e modalità di servizio completamente diverse.
Del resto diciamolo: la maggior parte dei baristi fa quel lavoro per caso, certo non è frutto di uno studio o di una professionalità. Quindi non sanno come trattare il prodotto, anche laddove avessero un prodotto di qualità.
Per fortuna oggi questo almeno in parte sta cambiando. E c’è gente che impiega tempo e soldi nello studio.


Selezione manuale del caffè crudo, India, 2012 | foto: Torrefazione Caffè Lelli

Z come ZIBETTO
Questa la scelgo io perché voglio sapere che ne pensi dello zibetto delle palme (luwak), che mangia e digerisce i chicchi di caffè Kopi Luwak.

Finora ti ho parlato della varietà, enorme, che c’è nel mondo caffè e della ricerca continua e dei numerosi lotti che possono esserci anche nell’azienda dello stesso produttore. Di qualità che magari fanno parte di diverse raccolte più o meno fortunate, che esprimono diversamente nel prodotto le caratteristiche del terreno, del clima…
Di tutta questa varietà io posso scegliere il prodotto migliore, ne abbiamo la possibilità, ne esistono le condizioni, c’è un potenziale enorme. Quindi perché mai dovrei rovistare negli escrementi di un animale? Non ha senso proprio come concetto. E ancora di meno ora, viste le pratiche abominevoli a cui si è arrivati.
Dal punto di vista etico questi animali vengono sfruttati: li fanno ingozzare di ciliegie di caffè, facendoli vivere in cattività e portandoli alla morte per eccesso di caffeina. E ora, visto l’enorme mercato che si è aperto, stanno cercando di far mangiare ciliegie di caffè anche ad altri animali, per esempio agli elefanti, in India, e alle mucche, in Repubblica Dominicana. E io sono totalmente contrario, anzi scrivilo pure: io mi incazzo! Questa è una controcultura della qualità.

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