«La città mangia. Mangia cibo ma consuma anche il terreno necessario per produrlo»
—dal manifesto di eatingcity.org
Al netto degli (h)i(p)sterismi da periferia gentrificata. Al netto dell’autarchia pazzoide dei survivalisti e del proselitismo fondamentalista vegano. E al netto, infine, del renzianesimo ottusamente entusiasta dei post-trentenni post-ideologici e impomatati, il fenomeno degli orti urbani non è l’ennesima meteora prossima a schiantarsi contro il muro dell’oblio — ma solo dopo aver riempito la rubrica “tendenze” di qualche settimanale vecchio stile.
Il fenomeno degli orti urbani semplicemente non è una moda o, se viene percepita come tale, è perché ci si scorda di guardare al quadro generale della situazione. E il quadro generale è quello di un’urbanizzazione che procede inesorabile a occidente e marcia a tassi da record a oriente, mentre le campagne si spopolano e l’agricoltura intensiva guadagna sempre più terreno; una crisi economica che, non solo in Italia, ha toccato estese fasce di popolazione; una presa di coscienza dovuta a una filiera, quella del cibo, che va allungandosi sempre di più, fin quasi a far perdere le sue tracce.
Non è un caso che quest’anno, durante il Salone del Gusto di Torino, Terra Madre abbia dedicato ben due conferenze all’argomento.
Coltivare le città non è solo un passatempo per pensionati — qui a Bologna, ad esempio, già nei primi anni ’80 sono nati i primi orti comunali, rivolti proprio agli anziani, ma ora la città è piena anche di iniziative private e “community gardern” condivisi (per una mappa aggiornata puoi consultare il sito Gramignamap.it).
E se immortalare il fenomeno, la macchia verde che si estende sempre di più dai tetti ai balconi alle aiuole pubbliche, è ormai pressoché impossibile, un fotografo finlandese e una giornalista libanese hanno provato a raccontarlo a modo loro con un libro — Horticultured Cities — realizzato visitando negli ultimi cinque anni orti urbani e community garden sparsi per città come Londra, Berlino, Madrid ed Helsinki, riuscendo a confezionare un ottimo prodotto editoriale dove le storie dei “contadini di città” si alternano a belle foto che sicuramente faranno venir voglia a chiunque abbia almeno un balconcino, di iniziare a coltivare almeno una parte del cibo che mangia.