
Non c’è più un angolo di mondo inesplorato. Perlomeno in superficie (l’abisso, grazie a Dio, è in gran parte ancora territorio dell’immaginazione). E dove non sono arrivate navi ed esploratori abbiamo mandato in orbita i satelliti, a scrutare instancabili questa sfera blu che con tanta cura stiam cercando di spremere in ogni sua risorsa, a nostro uso e consumo.
Ma i satelliti sono stupidi. Sono semplicemente occhi e antenne avide di dati. Dati che vanno poi tradotti, elaborati e interpretati.
Dove non arrivano i satelliti, arriva la fantasia. Capace di utilizzarli, quei dati, per riportar la meraviglia sulle infallibili e solo apparentemente immutabili mappe che la tecnologia ha disegnato.
Basta semplicemente spostare il punto di vista, ribaltare le certezze, ricalibrare i punti di riferimento e un nuovo racconto del territorio e dell’umanità che lo abita è possibile.
Un vero maestro nell’innestare nella cartografia temi come l’antropologia, l’identità, la critica sociale e politica — ma anche nel proiettare lo spettatore nelle regioni oniriche dell’ignoto e innescare un flusso di pensieri che lo porterà lontanissimo dalla semplice mappatura di un luogo — un vero maestro, dicevo, è Bill Rankin, professore di storia a Yale di giorno e “cartografo radicale” di notte.
Il suo sito, Radical Cartography, è una scoperta continua e il consiglio è di cliccare su tutto il cliccabile, senza dimenticare di leggere i testi che accompagnano ogni mappa: coltissimi e pieni di ironia, a partire dalla citazione iniziale di Baudrillard che dà la rotta all’intero progetto.




