foto: Marcelo Souza

L’insostenibile leggerezza del Kitsch

«Il sublime e il Kitsch non sono lontani tra loro: quando lo splendore di un paesaggio diventa quasi insostenibile,a che cosa mai si può pensare se non a una cartolina?»
—Mario Andrea Rigoni

Sono cresciuto con una cultura estetica “calvinista”, fatta di razionalismo, regole svizzere e ideologia della funzionalità. Per contrapposizione non potevo che guardare con estrema curiosità tutte le manifestazioni del Kitsch. Molti teorici e scrittori lo hanno raccontato e hanno provato a definirne i connotati: chi, come Umberto Eco, lo ha utilizzato per spiegare la cultura di massa e chi, come lo scrittore Milan Kundera, ne ha fatto una metafora per raccontare la situazione politica ed esistenziale vissuta durante il regime sovietico.
Ma cos’è il Kitsch? Esistono regole per identificarlo? Possiamo sintetizzare per punti un piccolo vademecum del Kitsch? Proviamo!

foto: Marcelo Souza

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1. Variazione di scala

Rimpicciolire il David di Michelangelo e farlo diventare un souvenir da salotto oppure ingigantire l’orsetto Winni De Pooh, sono operazioni che modificano la scala dimensionale degli oggetti. Si vuole mantenere il valore emozionale dell’immagine rappresentata (in questo caso il David e l’orsetto) variandone la grandezza.
È questa una delle più classiche manifestazioni del Kitsch e la ritroviamo facilmente nel mondo dei souvenir, gli “oggetti-ricordo” che miniaturizzano intere città nel palmo di una mano.

2. Variazione di funzione

La Torre Eiffel che diventa penna USB non subisce solo una variazione di scala ma anche di funzione. L’oggetto Kitsch preferisce peccare in funzionalità ma deve per sua natura essere evocativo: un’ evocazione ovvia e banale che deve risultare facilmente comprensibile da un pubblico non particolarmente “colto” dal punto di vista visivo. Il Kitsch è un linguaggio per tutti, o come direbbe Eco “il Kitsch è identificabile nella cultura di massa”.
Il tavolo del film “Harry ti presento Sally”, ricavato da una ruota di carro, è chiaramente il frutto di una variazione di funzione.

3. Zoomorfismo e copia della natura

L’oggetto prende la forma di un animale (zoomorfismo) o comunque cerca di ricreare la natura, come i cani di ceramica a grandezza naturale o le conchiglie finte. Non si cerca sempre una mimesi della natura, non la si copia in tutti i suoi elementi, ma spesso si tende ad  “impreziosirla” o “addomesticarla”: ecco allora che le conchiglie possono essere dorate o decorate con fregi non esistenti in natura.

4. Sostituzione dei materiali originari

Sostituire l’argento con il rame argentato, la pietra con il calcestruzzo, il legno con il cemento, l’avorio con la plastica, il diamante con lo zircone… sono modifiche legate ai materiali. Sostiene il filosofo Abraham Moles che “È Kitsch una copia a buon mercato, fatta con materiali di qualità mediocre”. Personalmente non sono d’accordo con questa posizione: se il Kitsch è sempre la ricerca del prodotto a “buon mercato”, vogliamo sostenere che il telefono in oro zecchino o l’automobile con carrozzeria in diamanti Swarovski non rientrano in questa categoria?

5. Rifiuto deliberato e radicale della funzionalità pur senza rinunciare alla ‛funzione’

Un piatto troppo ornato per poterlo lavare, un lampadario troppo fragile per reggere le candele accese, uno spremiagrumi impossibile da utilizzare, testimoniano perfettamente il rifiuto del Kitsch alla mera funzionalità degli oggetti che in questo caso preferiscono avere un forte valore emozionale.

foto: Andrea Wiggins

6. Ricerca dell’eccesso

Eccesso nei materiali utilizzati (tanti-troppi) o eccesso nella forma, ostentazione del decoro, utilizzo di forme bizzarre o provocatorie. Tipico del Kitsch è la sproporzione tra mezzi e fini.

7. Cambiamento del contesto

Le moto “Vespa” attaccate al muro, o una colonna greca all’interno di un salotto. L’oggetto in questo caso non ha nessuna delle caratteristiche esposte qui sopra, ma il contesto nel quale viene collocato lo fa diventare un oggetto Kitsch.

* * *

Se trovate almeno una di queste caratteristiche negli oggetti che vedete, molto probabilmente potrete utilizzare la parola Kitsch, definizione che ha cambiato vari significati nel corso degli anni e che da negativa è spesso ora utilizzata in forma positiva. Il suo sdoganamento ha portato a giustificare vere e proprie trasformazioni nel gusto e nella visione degli oggetti di tutti i giorni.

La divisione netta che Umberto Eco faceva tra “avanguardie”, intesa come cultura “superiore” e “Kitsch”, inteso come cultura di massa, si è appianato negli anni. Ormai tutta la società utilizza a piene mani questo linguaggio ed è difficile pensare che sia espressione solo di una classe di “bassa” cultura estetica.

Gillo Dorfles scrive a proposito:
«Come sempre, sono l’intenzione e la consapevolezza, sia rispetto all’utilizzo delle tecniche sia nei riguardi dei contenuti, che trasformano un oggetto, una forma, ma anche un comportamento, in un’opera, in un linguaggio che sentiamo veri e autentici. Se non esiste la dimensione culturale, ogni forma d’arte è destinata a cadere nella trappola di un Kitsch più o meno consapevole. […] È necessario conoscerlo, anche frequentarlo e, perché no, qualche volta utilizzarlo, senza farsi mai prendere la mano. Perché il cattivo gusto è sempre in agguato».

Personalmente sarei anche meno cauto: forse il vero pericolo sono le opere insipide, che dicono poco o nulla, piuttosto che quelle di gusto discutibile?
Come ebbe modo di dire Nietzsche: «Beati quelli che hanno un gusto, fosse pure un cattivo gusto!»

editorialista
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