Il più grande illustratore di fantascienza

Ma la copertina più guardata di tutte era quella del n. 265, R. Silverberg, Il sogno del Tecnarca. A parte la meraviglia di questa parola arcana, «Tecnarca», che mi affascinava per il suo sentore arcaico e insieme tecnologico (dunque parola pregna di un’interna e tesa lontananza tra passato e futuro), c’era in quella copertina l’immagine stessa del mio contemplare: un volto d’uomo, di tre quarti, con gli occhi fissi su un punto indefinito: di fianco a lui un grande oblò ovale si apre sulle bellezze dell’universo stellato, ma l’uomo è assorto, perso in un suo purissimo incanto: in quello sguardo spiritato intuivo ordinarsi le sue memorie, spiegarsi le leggi dell’esistenza, e fissando i miei occhi nei suoi cercavo di suggere un po’ di quella pace. Altre volte, invece, ne ricavavo un senso di vertigine, come se il mio amato Tecnarca si fosse arrestato sul bordo voraginoso del Nulla, e vi stesse guardando dentro…
da Le copertine di Urania, in Tu, sanguinosa infanzia, raccolta di racconti di Michele Mari, Einaudi 1997

Chiunque abbia avuto nella vita la mistica esperienza di avere in casa uno o più scaffali pieni di quei raggrinziti libretti della collana Urania, soprattutto in tenera età, da ammirare da lontano, imparando addirittura a leggere su quelle costole coi titoli pieni di “terrore”, “perduto”, “orrendo”, “proibito”, poi mandati a memoria prima ancora di tirar giù anche solo uno dei volumi dalla libreria, ammirandone le illustrazioni di copertina, perdendoci dentro lunghi pomeriggi cercando di venire a capo di quel sottile senso di inquietitudine che provocavano, familiarizzando con esotici nomi come Silverberg, appunto, o Disch, Dick, Simak, van Vogt, prima ancora di scoprire un Rodari, un Calvino, un Salgari, un Verne.

Chiunque abbia avuto un’esperienza simile si riconoscerà nello splendido racconto di Michele Mari, eccellente scrittore, grandissimo cultore di fantascienza, figlio del grandissimo designer Enzo Mari.

Il sogno del Tecnarca, almeno stando ai racconti di famiglia, fu anche il primo Urania a entrare in casa di mio padre quand’era ragazzino (pure lui e suo fratello, come Mari, ancora oggi continuano a citare, sorridendo nostalgici, quella parola: «tecnarca»), scatenando un’inguaribile passione per il genere fantascientifico che poi avrebbe portato a riempire quegli scaffali che io da bambino curiosavo con una tensione quasi religiosa.

L’illustrazione di copertina di quel volume — come di quasi tutti i numeri di Urania usciti fin dal ’59 arrivando, rallentando pian piano l’attività, fino al ’98 — era opera di Karel Thole.

Nato a Bussum, in Olanda, nel 1914, Thole arrivò in Italia nel ’58 iniziando a collaborare prima con Rizzoli poi con Mondadori dove Anita Klinz, all’epoca direttrice dell’Ufficio Grafico, lo “spedì” dal direttore di Urania, Marchiori, che lo assunse come copertinista.
Per Urania Thole fece molto di più che disegnare semplicemente le copertine. Costruì, invece, un intero immaginario, indelebile per ogni appassionato di fantascienza (e non esiste praticamente appassionato di fantascienza che non abbia costruito le basi della sua passione su Urania) nonostante — a quanto pare — non leggesse mai i libri che illustrava.

Thole morì quasi cieco nel 2000 a Cannobio, al confine tra Piemonte, Lombardia e Svizzera, cittadina in cui si era trasferito nel ’93 con tutta la famiglia. Oggi la sua opera — dipinti e copertine, non solo di fantascienza — è sì riconosciuta in tutto il mondo ma mai quanto l’artista avrebbe davvero meritato.
L’ultima grande mostra italiana dedicata a Thole risale alla fine del 2013 ed è stata curata e allestita dalla Galleria Arnaldo Pavesi.
A chi, come me, se la fosse persa, consiglio di fare incetta di vecchi Urania dalle bancarelle e dai mercatini ma soprattutto consiglio l’acquisto di un volume antologico che gli ha dedicato Fondazione Rosellini per la letteratura popolare.

Un libro, intitolato Karel Thole, pittore di fantascienza, che in 184 pagine raccoglie tutte le copertine realizzate per la collana Mondadori accompagnate da saggi e ricordi dell’artista.

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