Anni fa, quando Frizzifrizzi non era ancora nemmeno un’idea partorita durante una serata troppo alcolica, mi ero messo in testa di fare il fotografo. Avevo studiato storia della fotografia all’università, fin da ragazzino mi ero letto e riletto i libri di fotografia trovati nello studio di mio padre e di tanto in tanto, furtivamente, prendevo la sua reflex e provavo virtualmente a scattare foto seguendo i consigli dei libri (virtualmente perché senza pellicola), studiando le inquadrature, cambiando gli obiettivi, usando persino l’esposimetro.
Quando conobbi Ethel, ormai quasi dodici anni fa, mi spacciai per fotografo. In realtà stavo appena iniziando a usare la Nikon di famiglia per provare a imitare i miei “eroi”, i vari Ruff, Struth, Gursky, Höefer… (in pratica la cosiddetta Scuola di Düsseldorf, che fino alla fine degli anni ’90, grazie a due insegnanti d’eccezione come Bernd e Hilla Becher, era La Scuola di fotografia per eccellenza).
Non che fossi particolarmente bravo ma il fatto di aver millantato una potenziale futura carriera che doveva ancora iniziare mi diede la spinta per provarci davvero: in quei primi anni 2000 scattai come un forsennato, spesi più di quanto potessi permettermi per rullini e stampe, mi misi in testa di pubblicare qualcosa e cominciai a cercare in rete possibili opportunità.
Fu allora che scoprii un mondo. All’epoca stavano appena nascendo il fenomeno delle fanzine in pdf, Flickr stava per essere lanciato, portali di e per giovani artisti nascevano ogni giorno, così come le occasioni per esser pubblicati da qualche parte, in un sito americano come su una semi-sconosciuta fanzine svizzera, portoghese o sudamericana.
Comprai un manuale, guardai il codice di centinaia di siti e imparai a costruirmene uno tutto mio in modo tale da poterci mettere tutti i miei lavori. Mandai foto a destra e a manca e per un paio d’anni mi pubblicarono praticamente ovunque, tra webzine, fanze in pdf, persino qualche pubblicazione vera, di carta.
Di quei siti ora non c’è quasi più traccia. Le riviste in pdf ce l’ho ancora in qualche angolino del disco fisso a ricordo di una carriera nata su un bluff e che com’è giusto che sia non si è poi tradotta in niente, anche se proprio da quel furente navigar in cerca di visibilità nacque prima Freshcut e poi Frizzifrizzi.
Però mi rimangono due o tre volumoni pieni dei “giovani e promettenti” artisti dell’epoca, con qualche mia foto dentro. Ora ci sorrido sopra. Un tempo ero emozionatissimo quando arrivava per posta da oltreoceano una di quelle raccolte che all’epoca andavano piuttosto di moda e che raccoglievano via mail materiale da tutto il mondo, chiedendo agli artisti opere perlopiù a tema libero. Andava bene tutto: foto, pittura, illustrazione… E il risultato erano libri pieni di immagini slegate tra loro, col nome dell’artista e un link. Nient’altro.
Oggi di iniziative del genere ce ne sono molte meno. I “calderoni” hanno lasciato il posto a progetti più specializzati, dedicati a temi o tecniche specifiche, spesso corredati di interviste e approfondimenti.
Ma evidentemente qualcuno che ha voglia di farli ancora, i calderoni pieni di artisti, c’è ancora: gli australiani di Stolen, ad esempio, hanno già pubblicato due volumi del genere. Il primo con le opere di 30 contributors da tutto il mondo tra sconosciuti, semi-famosi e famosi; il secondo addirittura 80, spalmati su più di 100 pagine, in volumi in edizione (quasi) limitata di 1000 copie.
Anche in questo caso a tema libero. Unico requisito: ogni opera è analogica. Niente foto digitali, dunque, né illustrazioni vettoriali.
E non nego che un progetto del genere mi mette una certa nostalgia. Quasi quasi partecipo al prossimo…