Sulle tracce di Munari con una risograph

Nel 1959 la Xerox, azienda americana fondata a inizio Novecento e produttrice di carta fotografica, lanciò la prima macchina commerciale per fotocopie, l’ormai mitica Xerox 914, venduta in milioni di esemplari inizialmente in America e poi nel resto del mondo, dove arrivò grazie a una partnership con l’azienda inglese Rank, formando quel marchio—Rank Xerox appunto—che dagli anni ’60 agli anni ’90 diventò sinonimo di fotocopiatrice.

Nel giorno del suo sessantesimo compleanno, il 27 ottobre del ’67, Bruno Munari mostrò a una piccola folla di amici come con una fotocopiatrice, pensata per ri-produrre, si potessero invece produrre immagini originali, semplicemente mettendo sul vetro di esposizione forme e texture differenti e muovendo gli oggetti nel momento in cui la luce li scansionava.
Ma era già qualche anno che il grande maestro aveva iniziato a “dirottare” le Rank Xerox dal loro utilizzo da ufficio trasformandole in strumento creativo, anticipando un movimento, quella della cosiddetta copy art (o Xerox Art), che poi dilagò negli anni ’80 e ’90, gli stessi in cui esplose anche il fenomeno delle fanzine e dei fumetti autoprodotti, la maggior parte dei quali venivano realizzati per l’appunto grazie alle fotocopiatrici.

Nel ’70 e nel ’77 Munari pubblicò anche due libri sull’argomento. Il primo, Xerographia: documentazione sull’uso creativo delle macchine, venne pubblicato dalla stessa Rank Xerox. Il secondo, Xerographie originali: un esempio di sperimentazione sistematica strumentale, uscì inizialmente sui Quaderni di design editi dalla Zanichelli per poi essere ripubblicato anni dopo da Corraini.

E se l’azienda anglo-americana si mostrò disponibilissima con Munari, la stessa creò non pochi problemi, qualche tempo dopo, a uno dei più grandi talenti del fumetto italiano, Stefano Tamburini, che fu costretto — dietro minacce legali — a cambiare il nome del suo personaggio più famoso, Ranx Xerox (un robot “costruito” coi pezzi di una fotocopiatrice!), in Ranxerox.

Lo stesso Tamburini poi, nell’80, utilizzò una delle tecniche xerografiche mostrate da Munari per realizzare le storie di un altro personaggio, Snake Agent, una tra le opere fumettistiche più sperimentali e concettuali dell’epoca. Snake Agent era un in effetti un metafumetto, attraverso il quale Tamburini voleva dimostrare l’inutilità del disegnatore utilizzando vecchie tavole prese da un fumetto americano degli anni ’40 modificate a colpi di bianchetto (per cancellare i dialoghi originali) e di movimenti sul piatto della fotocopiatrice.

Chissà Munari e Tamburini che avrebbero “combinato” oggi avendo a disposizione quegli strumenti digitali che hanno mandato in pensione le vecchie fotocopiatrici. E se a una domanda del genere è impossibile rispondere è invece interessante notare come parte della scena artistica attuale, illustratori e fanzinari in primis, abbia scelto di affidarsi alla Risograph, macchina prodotta dalla giapponese Riso Kagaku Corporation, una sorta di punto d’unione tra la serigrafia e la fotocopiatrice.

Oggi le stampe, le fanzine, i cataloghi, i fumetti realizzati in risograph non si contano. Per questo uno studio grafico inglese, work-form, ha provato a rendere omaggio alla lezione di Munari realizzando un equivalente in risograph del suo libro di sperimentazioni xerografiche e pubblicando Original Risographies, un volume nel quale vengono mostrate decine di tecniche per la produzione di opere originali intervenendo su ogni singolo aspetto del processo di stampa risografica, dalla registrazione dei colori alla concentrazione dell’inchiostro, fino ovviamente ai “movimenti” tanto cari a Munari e Tamburini.

Il libro, disponibile in un’edizione limitata di 500 copie, si può pre-acquistare qui.

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