Prima dell’esplosione dei blog e dei social network di massa e della relativa “migrazione” di notizie su queste piattaforme le uniche fonti dove andare a pescare le ultime novità sulla cosiddetta design community internazionale—categoria ufficiosa che comprendeva non solo il design del prodotto ma anche la grafica, la tipografia, l’illustrazione, i designer toys, gli esperimenti sulle interfacce web e le nuove tecnologie applicate all’arte—erano i portali specializzati, quasi tutti americani, la maggior parte dei quali oggi ha lasciato il posto ai suddetti blog.
Da che ho memoria di incursioni notturne su quel genere di siti—parliamo di almeno dieci anni—uno dei nomi che uscivano (e tuttora escono) fuori più di frequente era Jeremy Fish, uno degli illustratori più prolifici della sua generazione, contemporaneamente (e perennemente) impegnato su molteplici fronti, dai lavori personali ai libri, dalle collaborazioni con i più importanti marchi della moda e dello streetwear ai designer toys, dai murali alle installazioni, passando per le copertine dei dischi.
Fish, classe 1974, marito felice da meno di un anno, hipster prima che i media iniziassero a etichettare gli hipster come tali, ha appena pubblicato il suo sesto libro, Happily Ever After, un’antologia che raccoglie gli ultimi 5/6 anni della sua vita e della sua produzione artistica.
Un volume da non perdere, sia per chi lo conosce da anni, sia per chi l’ha scoperto ora per la prima volta.