Dear City 3.0

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Da qualche anno a questa parte si è iniziato a parlare di smart city, cioè di città in grado di adattarsi ai bisogni dei cittadini investendo sulle nuove tecnologie e sulle infrastrutture sociali—oltre che tradizionali—in modo da migliorare la qualità della vita. In tutto il mondo sono partiti progetti pilota, su tutti Rio De Janeiro (in Italia hanno iniziato a fare i primi passi città come Verona, Genova, Varese, Bari…) ma è il nord-Europa, dall’Olanda ai paesi scandinavi, che per la sua storia di socialdemocrazia si è fatta trovare all’appuntamento con il futuro degli spazi urbani già in prima fila.

Ma una città intelligente è anche soprattutto una città che sa ascoltare le voci di chi ci vive ed è per questo che nel 2009 due giovani designer di base a Copenhagen—Mikael Stær e Philip Battin—hanno lanciato Kære København, che tradotto in italiano significa Cara Copenhagen, una piattaforma web che permette ai cittadini, in forma anonima, di inviare messaggi alla propria città.
Il servizio venne utilizzato fin da subito per dare consigli, esprimere lamentele, immaginare nuovi scenari e dopo qualche tempo Stær e Battin si sono resi conto che il loro sito, nonostante non abbia il potere di risolvere i problemi di una città (quello è compito della pubblica amministrazione se, appunto, impara ad ascoltare), possa comunque essere utilizzato come una sorta di termometro sociale.

Per questo appena quattro mesi fa i due hanno deciso di allargare a livello mondiale la portata del loro progetto lanciando Dear City 3.0, che permette a chiunque di inviare messaggi alla propria città (se non c’è viene automaticamente inserita dopo il primo messaggio).

Ad oggi sono 402 i centri urbani ad aver ricevuto consigli/opinioni/lamentele, per un totale di oltre 2000 messaggi, in inglese o nella lingua del posto. Non molti a dire il vero: Parigi ne ha solo sei, Berlino sette; Londra, New York e ovviamente Copenhagen molti di più. Di città italiane finora non ce ne sono ma immagino già come un sito del genere possa diventare una sorta di bacheca per buontemponi (dopotutto qualcuno ha già creato una fantomatica città di nome “fucking”) e sfogatoio delle frustrazioni dei rivoluzionari da salotto e dei ribelli da scrivania, come insegnò anni fa quel meraviglioso esperimento di microfoni aperti che fece Radio Radicale, mandando in onda senza censure le telefonate degli ascoltatori: invece di usare uno megafono del genere in maniera costruttiva la maggior parte delle voci viravano sul genere «Lazio merda», «Ebrei al rogo», «Viva il Duce». Ma chi ha Facebook questo lo sa bene.

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