Tuscan Wool by Roy Roger’s

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In città di cacciatori non se ne vedono. Viaggiano invisibili sulle loro auto al mattino, prima dell’alba, quando è ancora buio, diretti verso le campagne, coi loro gilet e le giacche di lana, gli stivali e il cappello, il fucile al sicuro nel portabagagli, il sapore del caffè ancora in bocca, il naso rosso per l’aria fredda e umida che la notte ha lasciato sulla città e che brilla con le prime luci del sole che se ne esce fuori tra le colline, mentre i cacciatori si arrampicano per le strade piene di curve, dalla terza alla seconda, su fino a scollinare, là dove inizia il confine col loro mondo parallelo del bum bum, il cane, dietro, che inizia ad agitarsi, prima di sgranchirsi finalmente le zampe correndo a grandi balzi in mezzo all’erba, fiutando le tracce lungo i fossi.

E poi il rumore dell’erba calpestata, la nebbiolina sottile che si trasforma in perfette, minuscole sfere d’acqua che imperlano le punte delle ultime foglie attaccate ai rami degli alberi e le giacche calde dei cacciatori. Le mani fredde, che in tasca riprendono colore e non vorrebbero più uscirsene da lì. L’odore del bosco che si alza e gira tutt’attorno, portato dal vento leggero, come un recinto invisibile che racchiude un microcosmo dove tutto—meditazione, ritualità, natura, fuga—fa rima con sangue. A volte il bum bum è solo un pretesto. Altre è il centro attorno al quale ruotano settimane o mesi d’attesa. Ad ogni modo il bum bum arriva sempre. E la tensione si allenta. Ma solo fino al prossimo sparo.

Non ho mai preso in mano un fucile in vita mia, ma le storie di caccia in qualche modo mi attraggono. Perché è sempre tutto talmente definitivo… Narrazioni che possono andare dall’epico al patetico, dal tragico al ridicolo, ma sempre e comunque costruite su una serie di punti di non ritorno che s’intrecciano gli uni agli altri in un immaginario statico, immutabile negli anni. La caccia è una rappresentazione che funziona in maniera pressoché identica in tutte le latitudini, in ogni tempo, pur con le sue varianti tecnologiche, ambientali, climatiche o culturali, anche laddove l’attività ricreativa va a sostituire la pura e semplice necessità.

E il cacciatore rimane un cacciatore pure quando è senza fucile. Pure quando è solo un padre o un nonno o l’amico con cui ti vedi il venerdì sera per una birra e i salatini stantii del circoletto. Lo vedi persino da come si veste, un cacciatore, anche quando non è vestito da cacciatore. E non è detto che un cacciatore abbia davvero bisogno di un fucile. È una questione di punti di non ritorno, appunto, e c’è chi su quelli basa la propria esistenza senza per questo comprarsi una doppietta per andare a sparare.

La Tuscan Wool di Roy Roger’s quindi non è per tutti. Realizzata interamente in lana, pura al 100%, proveniente dagli allevamenti del monte Amiata, da pecore che danno un tessuto resistente ma facilmente plasmabile, lavorata poi in Italia in un distretto tessile pieno di storia com’è quello pratese, la collezione si ispira evidentemente al mondo della caccia. E proprio per i cacciatori è pensata. Col fucile o senza.

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co-fondatore e direttore
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