Enoteca Trimani

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Quanti litri, quanti ettolitri di vino sono scorsi dal 1821? Quante bottiglie a volte piene, altre vuote o addirittura rotte? E prima ancora quante botti, orci e cannelle? E poi dolciumi e bollicine, sono entrati ed usciti dall’Enoteca Trimani? A questo penso nel breve percorso in taxi che da Via della Pace a Roma mi porta in via Goito, 20 sede dell’enoteca Trimani dal 1876.

Poi entro e mi bastano pochi minuti per rendermi conto che qui come altrove i numeri importano poco, che la storia è fatta dalle persone. C’era Francesco, il fondatore, che nel 1821 aprì una mescita di vino, in via di Panico all’angolo con Piazza dei Coronari, e Pietro e Marco, che la trasferirono nell’attuale sede, e poi generazioni di Trimani fino al 1990, quando gli storici locali furono ristrutturati in modo da garantire un perfetto equilibrio tra funzionalità commerciale e conservazione degli arredi storici (bellissimo il bancone e l’antica fontana dei vini). Sempre un Trimani, non so bene chi, nel 1991 diede vita al primo locale italiano a chiamarsi Wine Bar, contribuendo così a diffondere la cultura del vino.

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È un piacevole tardo pomeriggio romano di fine novembre quando arrivo da loro, ad accogliermi Paolo, Carla e Francesco.
Paolo l’ho conosciuto un anno fa a Faenza, gli ho promesso che sarei andata a fargli visita a Roma, e lui ora mi chiama per fissare un appuntamento proprio mentre io su Whatsapp sto assicurando a qualcuno che, dopo il pienone di Enologica 2013, non gli parlerò di cibo, vino and Co. almeno per un anno… Mamma lo sa da 39 anni: mai fidarsi delle mie promesse!

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Paolo mi guida tra due corridoi paralleli stipati di bottiglie, uno per i vini rossi e uno per i bianchi, divisi per regioni italiane e paesi stranieri. Sono circa 6000, al momento, le referenze tra vini italiani e vini dal mondo. Ma non c’è solo vino! Champagne, Franciacorta e spumanti. E poi distillati. Whisky, brandy, rum, vodka. Perfino il Varnelli tanto caro a Simone, l’Amaro del Capo bene di conforto per i tanti calabresi della diaspora a Roma. E scovo il Biancosarti, quasi un liquido mitologico per me, che credevo esistesse solo nei racconti del mio caro zio Emilio.

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Paolo è generoso, decide di fare un’eccezione alle regole e portarmi giù nelle cantine, dove ammiro gli scaffali stracolmi di vino, vino per ogni tasca ed ogni palato, le antiche botti ormai impolverate, il vecchio sistema di scarico delle merci me lo raccontano per aneddoti Paolo ed uno degli storici aiutanti. Ridiamo. Quello che però cattura maggiormente la mia attenzione è l’impianto che alimentava la fontana del vino, che vedete nelle immagini. In cantina proprio in corrispondenza della fontana c’è un sistema di tubazioni; in pratica quando si sceglieva il vino – contraddistinto da un numero – si apriva la saracinesca corrispondente ed il liquido saliva un piano e fluiva negli orci dei compratori. Riesco quasi a vedere la scena e, suggestionata, avvicinandomi alla fontana per scattare le foto, riesco perfino a sentire l’odore del vino di un secolo fa.

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Quando entusiasta ed in evidente ritardo raggiungo Luca per cena, capisce subito che la promessa non è stata mantenuta, parlerò ancora una volta del vino visto, di quello bevuto, di Paolo Trimani, della sua famiglia e della più antica enoteca romana…

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