Gianni

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L’ultima volta che ho sfogliato un libro come Gianni facevo le elementari e passavo i pomeriggi sdraiato su un divano bianco a tirar giù volumi a caso dalla libreria di mio padre. Un giorno mi passò tra le mani un tomone cartonato con un titolo che faceva a cazzotti col formato e la carta degni di un libro d’arte: Il peggio di Novella 2000. Autori: Roberto D’Agostino e Renzo Arbore. In copertina un fotomontaggio di loro due con Lady Diana e (se non ricordo male) Carolina di Monaco. L’anno era il 1986, l’apice degli anni ’80.

Quello che ci trovai dentro ribaltò completamente la mia idea di libro. Non avevo mai visto niente del genere. A partire dal progetto grafico e giù fino all’ultima didascalia era come trovarsi di fronte a un campo di battaglia. O meglio, alle macerie che restavano dopo un guerra, combattuta—ma allora non potevo certo capire—sullo sfondo di quello che era il brodo sottoculturale che stava iniziando a sommergere tutto, qualcosa che andava oltre il dualismo che fino a quel momento era stato propinato alle masse—Rossi e Neri, URSS e Usa, Rai e Mediaset, Milano e Roma, Paninari e Metallari, Kubrick e Pippo Franco. Qualcosa che andava persino oltre il pop, il mescolarsi di alto e basso che oggi ancora si continua a citare con la stessa formula trita e ritrita.

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Quando uscì il libro erano in pochissimi coloro che potevano vantare una sensibilità tale da poter captare i segni di ciò che stava arrivando. Ma da fini osservatori quali erano, D’Agostino e Arbore erano riusciti a decodificare i segnali, a rimasticarli e a offrirli al lettore attraverso un libro che poteva essere letto come una macabra danza dei due autori sopra alle suddette macerie. Oltre la satira, oltre la dissacrazione e l’anarchia c’era lo sconforto. Totale e definitivo. Ben più crudo del no future della cultura punk/nihilista che ormai era diventato un etichetta contraffatta da appiccicare sopra alle cose, alle persone e alle idee. Il peggio di Novella 2000 era avanti di almeno vent’anni. E sfogliarlo oggi è meglio che guardarsi decine di documentari, pubblicità, programmi tv e telegiornali dell’epoca ma allo stesso tempo è come rendersi conto che quel film non è mai finito. Distratti da milioni di passaggi pubblicitari che nel frattempo hanno cambiato formati, linguaggi e supporti non ci siamo accorti che nessuno ha mai cambiato canale né provato a spegnere.

Ora, un quarto di secolo dopo il divano bianco, Holly e Benji, Drive In, l’album degli Snorky e He-Man, mi metto a sfogliare Gianni e ci ritrovo uno spirito affine: là dove c’erano i salotti romani, la Milano di Craxi, gli imbarazzanti personaggi che bazzicavano il potere, o addirittura lo tenevano tra le mani; là dove c’erano le macchiette della tv, il berlusconismo nascente, il cafonal tanto caro a D’Agostino, i tic verbali, la famiglia all’italiana, le vacanze all’italiana, l’intellighenzia di sinistra, ora ci sono le riviste indipendenti e i tronisti, le infografiche e i boxini morbosi, i meme e le soluzioni facili in 140 caratteri, la generazione Ikea e le fashion blogger, le penne storiche del giornalismo e i giovani rampanti che misurano la bravura in base ai follower, la mass customization e le offerte del Lidl, il new ugly e gli “io sono un creativo”, i figli di papà e i benpensanti, Dario Fo e il Gabibbo.

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Ecco, la differenza sostanziale tra Il peggio di Novella 2000 e Gianni forse è proprio la visione. Sul presente e sul recentissimo passato quella di Arbore e D’Agostino, in qualche modo retrospettiva quella di Gianni, immersa in quegli stessi anni ’80 che però sono strisciati fino ad oggi e noi ne stiamo vivendo le scorie. Il brodo che bolliva trent’anni fa oggi c’è ancora ma si è raffreddato e puzza. E un ideale atlante della contemporaneità com’è Gianni, non poteva che uscir più piatto del suo blasonato predecessore (ma ben più profondo di quanto appaia a chi è convinto di trovarsi di fronte a un “divertissement”).
La conclusione ad ogni modo è la stessa, l’una tra le righe, l’altra sbattuta apertamente in faccia al lettore: stiamo camminando sulle macerie.

Bravo comunque il deboscio, autore ed editore del volume. Dopo il blog (menzione speciale per i commenti sotto a ogni post, un racconto parallelo e tridimensionale, anche più efficace del blog stesso e del libro in questione), dopo tutti i progetti paralleli, milanesi fino al midollo (tanto da scomodare un aggettivo che meriterebbe una pagina di Gianni: “local”), ora con Gianni conferma di essere un osservatore lucidissimo ma soprattutto un grande “evidenziatore” di distorsioni e tic, capace di usare a mo’ di Stabilo Boss giallo estetiche, meme, slogan e tutti quei residui trovati tra le pieghe della rete e i tavolini dei bar.

A proposito di bar, Gianni verrà presentato giovedì 12 dicembre da Taglio (che però non è “solo” un bar) in via Vigevano 10, ovviamente a Milano, alle 18,30.

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