Flint and Tinder e i lacci blu

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Tre anni fa o giù di lì un tal Jake Bronstein si trovò di fronte a uno dei problemi più annosi per qualsiasi uomo che non pratichi costantemente nudismo o che non preferisca, per motivi religiosi, far prendere aria fresca ai propri genitali: cercare un paio di mutande, possibilmente belle, comode, resistenti. Dopo un giro per i vari grandi magazzini di Manhattan, l’incresciosa scoperta. Praticamente ogni singolo paio di slip o boxer sugli scaffali era “made-da qualche parte” tranne che in America.
Calvin Klein? Made in Vietnam. Diesel? Made in China. Emporio Armani? Ancora Ciaina. Uniqlo? Pure. Wrangler? Indovina… Forse Ralph Lauren? No, l’etichetta diceva El Salvador. Hilfiger? Indonesia, come pure Adidas.

Possibile non ci sia modo di mettere i gioielli di famiglia in un paio di mutande a stelle e strisce?, si chiese patriotticamente Bronstein. E fu allora che gettò il seme (che detta così, parlando di biancheria intima, si può pure fraintendere) per Flint and Tinder, marchio che con orgoglio, cocciutaggine e una strategia di marketing e comunicazione impeccabile è riuscita a rinverdire i fasti del Made in Usa proprio in uno dei settori dove la manifattura americana in passato ha dato il suo meglio: i capi essenziali, quelli da lavoro, quelli per andare a correre, quelli in cui infilare il didietro e tirare avanti per lunghe e faticose giornate.

Bronstein, che veniva dal settore dei fondi d’investimento, andò subito in cerca di finanziatori per la sua idea che, in soldoni, era quella di fare prodotti americani di alta qualità e a prezzi competitivi. Uno di essi, sopracciglio alzato, l’aria cinica di chi ha già visto e sentito di tutto e non vuol perdere tempo, gli sbattè in faccia la dura verità: «L’unico modo di rinfocolare la manifattura Americana è con una pietra focaia (flint) e un acciarino (tinder)».
Il tizio ovviamente non investì ma senza saperlo regalò a Bronstein un nome per il suo marchio.

A quel punto l’unica altra strada percorribile (a parte quella di chiedere i soldi a paparino, ma non era quello il caso: il vero Sogno Americano—e chi punta sul Made in USA non può che rincorrer quello—non è mica la prassi tipicamente latina del “faccio il figo coi soldi del babbo”!) restava quella del rapportarsi direttamente coi suoi futuri clienti. Fino a qualche decennio fa Bronstein si sarebbe rimboccato le maniche, avrebbe messo su la sua faccia tosta più convincente e avrebbe provato a convincere qualche piccola bottega a produrre per lui mutande che poi avrebbe provato a vendere porta a porta a diligenti e affezionate casalinghe per i loro mariti.

Negli anni ’10 del secondo millennio invece basta metter su la propria faccia tosta più convincente, girare un video e presentarsi al pubblico su Kickstarter.
Era l’aprile del 2012 e Bronstein registrò questo video, col quale cercò di racimolare, grazie al crowdfunding, 30.000$ per lanciare la produzione delle sue mutande americane.

Ne raccolse quasi dieci volte tanto, 291.493$, vendendo diverse migliaia di mutande prima ancora di iniziare a produrle. Meraviglie della rete. Che capitano quando hai un buon prodotto, sei bravo a comunicarlo e vivi dall’altra parte dell’oceano.
A quel punto era fatta. E un progetto alla volta in meno di due anni Flint and Tinder diventò un piccolo impero. A Jake Bronstein si unirono altre sette persone e la filiera produttiva arrivò a coinvolgerne più di un centinaio.

Ma fu nella primavera del 2013 che Flint & Tinder esplose sul serio. Di nuovo una campagna Kickstarter, stavolta per una felpa, una semplicissima felpa con cappuccio realizzata con materiali di alta qualità e venduta tra i 120 e i 130$. Il vero colpo di genio fu il nome: The 10-Year Hoodie. Garantita dieci anni. Accompagnata da un altrettanto efficace claim: «non è che te la sostituiamo perché è così economico farla che per noi non sarebbe un problema; è che è fatta talmente bene che se dobbiamo riparartela lo facciamo gratis».

Nuovo video. E nuovo successo.
L’obiettivo era raccogliere 50.000$. In pochi giorni ne arrivarono oltre 1.000.000. E Flint & Tinder finì su tutte le riviste americane.

Oggi sul negozio online del marchio, oltre a mutande e felpe, si può trovare tutto ciò che serve per un guardaroba maschile basico e durevole, compresi prodotti di altri marchi, sempre Made in USA e sempre di alta qualità: t-shirt, pantaloni, camicie di flanella, cappelli, pelletteria e accessori vari.
L’ultima campagna di crowdfunding è stata lanciata appena qualche giorno fa, si chiama The Blue Lace Project e consiste nel realizzare il miglior paio di lacci da scarpe mai esistito. Blu.

Ed ecco di nuovo Jake, il suo video promozionale e 90.000$ (dei 25.000 rischiesti) già raggiunti in pochi giorni.
La leggenda continua, stavolta pure con un energumeno che trascina un camion da 6 tonnellate con i lacci blu. E un nobile intento: i lacci blu infatti non sono solo… lacci. Sono un simbolo.
In questi ultimi due anni Mr. Bronstein ha chiesto a oltre mille rivenditori americani il motivo per cui non tengono in negozio più prodotti Made in USA. La risposta? «Ai nostri clienti non importa dei prodotti realizzati nel nostro Paese». A questi Bronstein ha deciso di ribattere in maniera “minimalista” ma efficace: «Cazzate», dice. E vuole dimostrarglielo.

In collaborazione con altri marchi orgogliosamente Made in America, Flint and Tinder ha deciso di trasformare un paio di lacci blu in un messaggio che i consumatori consapevoli possono dare ai negozianti: se indossi i lacci blu vuol dire che vuoi acquistare, conoscere, promuovere i prodotti realizzati negli Stati Uniti.
«I commercianti comprano solo quello che pensano riescano vendere. Ma come fanno a saperlo se non propongono altro?» sta scritto sul sito del progetto.
Domanda da un milione di dollari (che Bronstein ha dimostrato di riuscire a raccogliere in pochi giorni). Domanda, soprattutto, che bisognerebbe girare pure ai negozianti italiani.

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