Interno Domestico

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Dopo l’overdose di mondanità degli anni ’80 il decennio successivo iniziò a portare con sé i germi del cosiddetto “cocooning”, termine creato negli anni ’90 in ambito commerciale per definire le nuove abitudini dei consumatori occidentali, diventate più casalinghe a causa/per merito delle (allora) nuove tecnologie, su tutte internet, home cinema e console per i videogame.

Pian piano le case private iniziarono a sostituire i classici luoghi pubblici d’incontro e spuntarono, prima come fenomeni d’avanguardia nelle grandi capitali come New York, Londra, Parigi e Berlino, per poi diffondersi a macchia d’olio nel nuovo e nel vecchio continente, ristoranti, pasticcerie, locali, atelier e gallerie d’arte tra le mura domestiche, complice anche l’esplosione dei social network e la relativa facilità di comunicazione con i potenziali clienti/visitatori.

Sono innumerevoli le giovani realtà di cui abbiamo parlato in questi ultimi anni qui su Frizzifrizzi ad essere nate nel salotto, in camera o nella cucina di un appartamento piuttosto che in un laboratorio, una sala prove, un’officina o le sale di un museo. E sempre di più, nel prossimo futuro, l’esperienza commerciale e culturale di ciascuno di noi passerà per la porta di casa, propria, di un amico o di un amico di un amico di un amico…
Già oggi andare in qualche stradina secondaria, suonare al campanello di uno sconosciuto, salire le scale e calpestare il classico tappetino per visitare una mostra scovata o segnalata da qualcuno su Facebook non è più l’esperienza esotica che avrebbe potuto essere per i nostri genitori.

Eppure il fenomeno delle mostre in appartamento parte da lontano, dagli anni ’70. Lì Federica Boragina e Giulia Brivio hanno rintracciato le origini di questa tendenza e all’argomento hanno dedicato un libro—Interno Domestico, appena pubblicato dall’editore indipendente Fortino Editions—che raccoglie più di quarant’anni di “mostre domestiche” italiane ed internazionali.

Il libro è frutto di un bel lavoro di ricerca che ha portato Federica e Giulia—fondatrici di una rivista d’avanguardia come Boîte (ne ho già parlato, non senza qualche critica, ben 4 anni fa, in occasione dell’uscita del primo numero)—a raccogliere testimonianze e materiali d’archivio di curatori ed artisti offrendo, credo per la prima volta, un punto di vista così ampio su una pratica contemporanea costantemente sull’orlo dell’oblio, dato che si tratta comunque di eventi che si tengono dietro alle porte di una casa privata. Per quanto oggi, tra macchine digitali, smartphone e pagine-evento su facebook, ogni singolo “happening”, anche se tra pochi intimi, vede una produzione di materiale visivo e testuale superiore all’inchiostro dedicato fino a qualche decennio fa alla conferenza stampa di un presidente americano…

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