Narrare su twitter

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Bastano 140 caratteri per raccontare un storia? Ne parlo con Sara Polverini, giovane autrice di Città di Castello che appena qualche giorno fa ha pubblicato su twitter #ilboadilana, una sorta di diario/performance/racconto, andato “in onda” sul popolare social network dal 1 al 4 ottobre dal profilo di @sonouoma, la protagonista della storia, venuta al mondo (dopotutto su twitter si “nasce” nel momento in cui si apre un account) nel marzo scorso attraverso un altro racconto twittato: #caramellineallafrutta.

Entrambe le opere, frutto della collaborazione tra Sara, Segue Dibattito (progetto culturale di Matilde Marinetti, di base anche lei a Città di Castello), e U10 (società milanese che si occupa di online publishing e ebook design), sono disponibili in formato tweetbook, da leggere o da scaricare.
Sara ovviamente l’ho conosciuta via social network e dopo aver letto #ilboadilana, ieri, ho deciso di intervistarla per farmi raccontare il progetto.
Per non farci mancare niente in fatto di social, l’ho intervistata su facebook…

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Chi è Sara Polverini? E perché ha due account twitter?

Sara Polverini scrive racconti e poesie da quando ha 5 anni.
Prima le scriveva con penne profumate su carta colorata, poi le salvava in file protetti da mille password per non farle leggere a nessuno, poi ha aperto un blog anonimo che piano, piano ha abbattuto alcune delle sue barriere.
Ha pubblicato diversi racconti per la Giulio Perrone. Da un po’ di tempo si è accorta di avere una specie di amica immaginaria. Si chiama Uoma.
Segue Dibattito e U10 le hanno proposto un progetto di twitter fiction e Uoma ha preso il sopravvento.
E così Sara Polverini ha un account che prende il nome dal suo vecchio blog anonimo “Anabel” e un account dove Uoma ha preso a raccontare le sue storie.

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Come hai conosciuto quelli di Segue Dibattito ed U10?

Mi ha contattato Matilde di Segue Dibattito. Cercava una scrittrice per un racconto che fosse ambientato nella Pinacoteca di Città di Castello, che è piena di misteri e storie di fantasmi..
Matilde aveva già avuto modo di conoscere U10 e con loro pensava ad un progetto che associasse la narrativa tradizionale alle varie pratiche di online publishing. Ho accettato con un po’ di remore. Un tweet è fatto di 140 caratteri! È tosta pensare ad una storia ponendosi dei limiti.
Poi mi sono accorta che il mio modo di scrivere (frasi ritmate e piuttosto corte) si adattava bene alla struttura e quello che ne è nato è #caramellineallafrutta.
Abbiamo raggiunto 100 seguaci in solo 4 giorni e con pochissima pubblicità, così abbiamo deciso di continuare.
Pochi giorni fa è uscito #ilboadilana, un altro racconto. E le persone continuano a seguirci.
Ora tutti ci siamo affezionati a Uoma e io sto soffrendo di bipolarismo.

Di che parlava #caramellineallafrutta?

Su #caramelline Uoma si presenta.
È una giovanissima mamma che cresce sua figlia Dalia da sola perché ha perso il suo amore in un incidente stradale.
Il padre di Dalia era un artista, si erano incontrati in Pinacoteca. Lei va lì spesso per sentirlo ancora vivo.
Uoma si tiene spesso tra le labbra dei pastelli, dice che hanno lo stesso sapore delle caramelline alla frutta.

È una storia autobiografica?

No! Non autobiografica anche se quando si scrive si mettono dentro tanti ricordi in forma diversa.
È un processo strano. Ma tu scrivi e sicuramente sai di cosa parlo…

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Avere un limite temporale—in entrambi i casi, sia per #ilboadilana che per #caramellineallafrutta, “in onda” per 4 giorni—rende il tutto una sorta di performance.

Sì. E’ un approccio al racconto strano e nuovo.
Non sono io un prima persona a twittare (in quei 4 giorni ci pensa un software pre-programmato) e così io stessa assisto come spettatrice a qualcosa che ho generato.
Uoma in quei giorni vive di vita propria. Accedo a twitter e “la trovo lì” che racconta storie.

Com’è stato provare a ridurre la prosa per stare nel limite imposto da twitter? Che difficoltà hai incontrato?

All’inizio è tosta. Ti arrabbi. Scrivere è liberatorio quindi dover forzare la prosa è qualcosa difficile da digerire. Così ho cercato di adattare il mezzo alla mia scrittura. Ho cercato di tenere tensione tra i vari tweet così che, se non me ne serviva uno, potevo usare il successivo per terminare quello che volevo dire. Ho trovato un giusto compromesso… credo.

L’uso di hashtag lo trovo molto interessante. La storia in questo modo va ad incanalarsi in altri, incontrollabili flussi, aprendosi all’esterno, a potenziali derive, sia nella testa del lettore, che per eventuali ramificazioni da parte di altri scrittori.

Infatti. Mentre su #caramelline se ne trovano pochi su #ilboadilana ne ho inseriti tantissimi. È bello pensare a tanti rami che fuoriescono dalla storia per toccarne altre. Come un labirinto di idee. Se ci pensi un hashtag decontestualizzato può aprire mille altre porte, mille altri spunti.
Sarebbe bellissimo se qualcuno si agganciasse ad un hashtag di Uoma per raccontare a sua volta una storia.

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Hai esplorato i vari hashtag prima di inserirli nella storia? Se sì, ti hanno in qualche modo condizionato?

No, ho usato i miei proprio per non avere condizionamenti…

I lettori hanno partecipato passivamente o sono intervenuti in qualche modo nel flusso della storia? Che effetto ti ha fatto sdoppiarti in Uoma, e assistere alla sua performance “dal pubblico”, esattamente come tutti gli altri?

I lettori retwittano, mi inviano messaggi anche in privato ma non intervengono. Ho capito che il lettore rimane lettore anche su twitter, ha bisogno di un inizio, di uno svolgimento e di una fine. Per me è stato buffo vedere Uoma prendere vita, per questo ti dicevo che mi sono affezionata a lei…

Su twitter gli esperimenti narrativi si moltiplicano: c’è chi ha giocato sul “come se”, reinterpretando i personaggi della storia (vedi Robert Falcon Scott), c’è stato il progetto #storiebrevi di Einaudi, Tito Faraci e Claudia Maria Bertola hanno twittato una storia a quattro mano con #tWeBook mentre Scatola Nera di Jennifer Egan, pubblicato da Minimum Fax, è diventato un best-seller. C’è addirittura un festival di narrativa su twitter.
Dopo i poemi epici, le novelle, il romanzo moderno, i racconti, l’ipertesto, pensi che siamo agli inizi di un nuovo formato narrativo? Nel prossimo futuro vedremo gente, in metro, leggere storie via twitter?

Questo davvero non lo so. Ti parla una che scrive racconti su twitter ma gira ancora con i libri nella borsa.
L’unica cosa che so è che twitter, come gli ebook, è solo un mezzo. Io vorrei che la gente leggesse e leggesse sempre di più. Se poi lo fa usando twitter o un taccuino per me non ha molta importanza. Sono mezzi che servono per far girare storie. Anche l’editoria classica ha i suoi tarli…
Sarà il tempo a darci le risposte.

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Ormai mi sono appassionato al diario di Uoma. Ci sono altre storie in arrivo?

Credo proprio di sì.

L’hai avuta tu l’idea del nickname Uoma?

Sì, Uoma mi accompagna da un po’. Quando Matilde mi ha contattato stavo già scrivendo di lei e così è stato naturale continuare a farla muovere nella mia testa.

Che tipo è lei? Uoma intendo.

È una donna che ha ancora i capelli lunghi come quando era bambina e ama fare la pipì nei campi ma che ha perso l’incanto. Scrive un diario per far luce nel suo intimo, una sorta di autoanalisi. Per questo racconta spesso del suo passato. Crede che guardandosi indietro possa comprendere meglio il futuro e le cose che la circondano.
La fotografa (Serena Facchin) poi si è occupata di dare un volto a Uoma sia con la prima immagine profilo che con quella che c’è ora.

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Che libri hai letto ultimamente?

Ho finalmente finito 1Q84 di Murakami. Ho letto Perciò veniamo bene nelle fotografie di Targhetta, per me uno dei libri più belli degli ultimi anni, e quest’estate l’ho passata a leggere le poesie di Guido Catalano.
Adesso ho sopra il comodino Il sentiero dei nidi di ragno, lo sto rileggendo per un progetto su Calvino di un mio amico. Un libro meraviglioso.

Quello di Targhetta è meraviglioso, la penso esattamente come te.

Così bello da fare male. Poi l’ho conosciuto ed è un tipo fortissimo.

Quindi non c’è stata la “solita delusione” di quando si conosce l’autore ed è uno stronzo!

No! è venuto ad un festival di letteratura che organizziamo qui in città e si chiama Calibro (si rifà a marzo sei invitato). È un tipo in gamba. di quelli che ci bevi tranquillo una birra.

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