Ecce Animal

In base ai dati ricavati dal report che ogni anno l’ Ufficio delle Nazioni Unite per il controllo della droga e la prevenzione del crimine distribuisce, gli Stati Uniti, da soli, consumano quasi il 37% di tutta la cocaina prodotta a livello mondiale, con una media di 42 grammi (in un anno) per consumatore, ma in calo rispetto agli anni precedenti. Secondi, in questa classifica, i Brasiliani—in piena ascesa, direttamente proporzionale alla crescita economica del Paese, quasi a confermare l’assunto (che però non è sempre vero) che coca=ricchezza—con quasi il 18% del consumo mondiale e 35g a testa. Per la cronaca: l’Italia è quarta, con 30g all’anno pro-cocainomane ed il 5% del consumo mondiale, subito dopo il Regno Unito e prima della Spagna.

Non è certamente questa la sede per analizzare i motivi dell’uso di coca: ci sono di mezzo l’economia e la psicologia, la medicina, la sociologia e l’antropologia. Quello che è certo è che dalle foreste dell’Africa Centrale ai deserti dell’Australia, dalle favelas brasiliane ai locali di Londra e Milano, si sniffa ovunque. Il fenomeno è trasversale e coinvolge ogni classe sociale, sesso e fascia d’età.

Una bella (e poetica) spiegazione la dà l’artista olandese Diddo—già celebre per provocazioni come le bare rilassanti, la cura contro l’avidità a base di inchiostro estratto da 10.000 dollari in banconote e siringa d’oro o armi e maschere anti-gas brandizzate—che stavolta ha realizzato su commissione un teschio umano di 12x18x22cm utilizzando gelatina e cocaina pressata, che ha personalmente recuperato per strada e che ha pure fatto analizzare in laboratorio.

Scrive Diddo nel testo che accompagna la sua opera, intitolata Ecce Animal, frutto di ben 20 mesi di lavoro:

Un tempo eravamo animali.
Come ogni altro, vivevamo in un ambiente fatto di paura e di bisogni.
Poi siamo diventati umani, ed abbiamo iniziato ad aspirando ad essere migliori.

Abbiamo imparato a controllare il nostro ambiente, ma la paura è rimasta,
perché non abbiamo mai imparato a controllare noi stessi.

È spaventoso guardare il volto della nostra parte animale messo a nudo
dall’eccesso di comodità; le spoglie della sua aggressione.

Ma che cosa è esattamente, in un’immagine come questa, che è così difficile da affrontare?
Il distacco dall’idea che abbiamo di noi stessi?
O è il realizzare che sebbene abbiamo imparato a dominare il mondo esterno,
noi resteremo sempre asserviti al nostro io interiore.

Una sorta di lato-B del celebre teschio ricoperto di diamanti dell’artista britannico Damien Hirst: se in quello veniva ricordata la precarietà della vita umana attraverso i suoi resti (che dunque sono sopravvissuti alla morte) ricoperti da un materiale potenzialmente eterno come il diamante, qua invece è un teschio precario, letteralmente in polvere, a ricordare l’irrimediabilità di una condizione umana basata sempre e comunque sulla paura, a dispetto di qualunque sostanza si provi ad utilizzare per scacciarla via.

co-fondatore e direttore
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