Pitti84 | Lardini

Una storia di famiglia che parte negli anni ’70, in un contesto geografico e produttivo dalle enormi potenzialità come quello dell’entroterra marchigiano, dove la qualità della vita—per storia, abitudini, ritmi—è alta e la piccola impresa riesce ad attecchire e a prosperare innanzitutto a livello umano, oltre che economico. Questo prima della crisi, che sta spazzando via le conquiste (e pian piano pure il ricordo) del famoso “modello marchigiano” che fino al 2007 era considerato, insieme a quello veneto, tra i più vincenti, studiati in tutto il mondo per la capacità di produrre ricchezza ridistribuendola sul territorio, di puntare sulla qualità e su condizioni lavorative di alto livello, sulla ricerca e al contempo l’artigianalità.

L’intera filiera, dalle aziende storiche giù fino ai piccoli terzisti, si sta sfaldando. Sono in pochi quelli che riescono a resistere. Ancora meno quelli che hanno i (super)poteri addirittura per crescere. E tra questi c’è Lardini, fondata nel ’78 dall’omonima famiglia in quel di Filottrano, detta Filottrà, piccola e verde cittadina tra le colline della marca anconetana.

Nata come terzista per altri (grandi e prestigiosi) marchi di abbigliamento italiani ed internazionali e specializzatasi nel capospalla maschile, Lardini ha lanciato il proprio marchio 13 anni fa, pur continuando da allora a lavorare anche conto terzi, su licenza.
In pieno rilancio d’immagine e di tutta l’attività di comunicazione, il marchio marchigiano ha portato ben tre linee differenti all’ultima edizione del Pitti Immagine Uomo, dove incontro Alessio Lardini, praticamente mio coetaneo oltre che conterraneo, figlio di Andrea Lardini, uno dei fondatori dell’azienda insieme al fratello Luigi e alle sorelle Lorena e Annarita.

lo smoking in spugna

«Mio padre è direttore generale, mia zia Lorena si occupa dell’amministrazione e zia Annarita, la più giovane, del controllo qualità. Mentre io, che faccio parte della seconda generazione, lavoro con mio zio Luigi all’ufficio stile» mi racconta Alessio. Che aggiunge: «il punto di forza è ed è sempre stato la giacca ma fin dall’inizio abbiamo guardato ad un capo classico come la giacca con occhi diversi ed abbiamo continuato ad elaborarlo e rielaborarlo, cercando identità diverse, modi innovativi per vestire chiunque e per far sì che chi indossi un capo Lardini si senta unico».

Il processo di reinvenzione della giacca passa anche e soprattutto attraverso la trasformazione dei capi pensati per le occasioni più formali, sdrammatizzati grazie a linee sempre assolutamente contemporanee e a tessuti inusuali, come la spugna che sostituisce il raso nel classico smoking bianco da cerimonia , o trame grosse e ben evidenti, o ancora virtuosismi a livello di lavorazione che permettono ad esempio di realizzare giacche pressate, sottilissime, quasi impalpabili.

«La giacchettina bella pulita che ti sta bene puoi andartela a comprare da un’altra parte. Noi puntiamo—sempre tenendo altissima la qualità dei capi—sul sapore, su quell’insieme che tessuto, trama, texture e colore danno ad un marchio. Questo è il sapore».

Lardini produce tutto sul territorio, con un’azienda di 300 dipendenti più altri 100 collaboratori provenienti da piccoli laboratori della zona. Il loro simbolo è un fiore stilizzato, ideato dallo zio Luigi che «da giovane amava vestirsi sempre elegantissimo ed era solito indossare una spilla appuntata alla giacca. Da lì l’idea di dare all’azienda di famiglia un simbolo elegante ma discreto come il fiore stilizzato, da allora su tutti i capi Lardini spesso proprio in forma di spilla», spiega Alessio che poi mi guarda con attenzione, mi fa segno di seguirlo e mi porta davanti ad una giacca in iuta stampata.
«Questa tu non te la metteresti?»

il prototipo della giacca in iuta

Alessio mi mostra il prototipo, realizzato con un vero sacco di iuta grezza, uno di quelli che si usano per il caffè, smontato ed utilizzato come tessuto per costruire la giacca.
«Una volta fatto l’esperimento abbiamo cercato di capire se c’era modo di industrializzarne la produzione. E ci siamo riusciti», la soddisfazione brilla nello sguardo del giovane Lardini.

Grazie ad una serie di lavaggi e finissaggi la giacca che esce dall’azienda e che arriverà sul mercato è molto più morbida rispetto al prototipo. Ma la materia prima rimane comunque il sacco di iuta. Le stampe, ispirate a quelle dei vecchi sacchi da caffè, riprendono il fiore-simbolo del marchio e sono differenti in ogni singolo pezzo. Non ce ne sono due uguali. E, sì, me la metterei. Valuto l’idea di infilarmela con nonchalance alla fine della visita allo stand ed andarmene disinvolto e, si spera, non visto. Ma i quasi 40 gradi che mi aspettano all’esterno scoraggerebbero pure un cammello quindi rinuncio al criminoso proposito.

la linea Archivio

Passiamo alle giacche della linea archivio.
«Riprendiamo i tessuti di fornitori storici biellesi e comaschi di altissimo livello» mi spiega Alessio. «Andiamo da loro in azienda a scoprire i tesori conservati nei libroni dove vengono raccolti i vecchi campioni risalenti a più di un secolo fa, e con loro lavoriamo su una rielaborazione in chiave contemporanea di quei campioni».
Una sorta di stile nonno tradotto però nel gusto del nuovo millennio.

Sul versante diametralmente opposto al recupero tessil-storiografico c’è l’anima tecnica di Lardini, che ha il suo fiore all’occhiello (figurato, oltre a quello reale del simbolo) nella linea RVR, quella dei capi reversibili, dove praticità ed eleganza convivono l’una dentro l’altra incarnando perfettamente lo spirito urbano dei nostri tempi: un lato tecnico, da pioggia, l’altro più formale e pulito. Spiegato in soldoni: scendi dalla moto, rivolti la giacca e sei pronto per l’ufficio.

la linea reversibile RVR

Infine, per completare il vasto panorama maschile a cui l’azienda marchigiana si rivolge, ecco un’altra linea ancora, molto più dandy, realizzata in collaborazione con il fashion designer Gabriele Pasini, uno che ha iniziato dal classico, come sarto di scuola napoletana, per poi intraprendere un percorso personale che l’ha portato, negli anni, ad avvicinarsi ad uno stile decisamente più british, con un gran lavoro di ricerca sui tessuti, di svecchiamento del classico, ed un’opera di estremizzazione delle linee.
«La difficoltà nel realizzare questa linea» mi racconta Pasini, «è stata il portare in produzione dei capi pensati come sartoriali, dunque estremamente difficili da realizzare industrialmente, riuscendo però, ormai da un paio di stagioni, a quadrare il cerchio grazie all’esperienza di Lardini, che ha raccolto la sfida e si è cimentata con lavorazioni molto diverse da quelle applicate nella storia ormai trentennale dell’azienda».

Se non si fosse capito, nelle giacche Lardini c’è un segreto che trascende il mondo della moda per arrivare al territorio, al made in Italy, all’intero modello economico italiano. Quel segreto si chiama qualità, si chiama ricerca, si chiama semplicemente buon senso. Capace di tenere unite due generazioni e di dare prospettive e stabilità a centinaia di famiglie.

Gabriele Pasini by Lardini
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