Se già la sola definizione di street art è oggetto di dibattito da anni da parte di artisti e curatori, critici e giornalisti e giù giù per tutta la catena alimentare dei fruitori fino a mia nonna che si chiedeva se quel tu lo sai vero? scritto con lo spray a caratteri cubitali davanti alla vecchia casa dei miei fosse da annoverare tra le minacce, gli scherzi, l’arte pubblica o la performance (di cui probabilmente lei stessa faceva parte—consapevolmente o meno—visto che quando usciva di casa a dar di ramazza alle foglie secche poi rispondeva al messaggio, sottovoce e in solitaria: che vuoi che sappia, io?), con un capolavoro vero come Exit through the gift shop di Banksy ad aprire ulteriori interrogativi più che a dissiparne, allora forse l’analisi e le discussioni attorno alla più sfuggente tra le arti, che prende aria e vento e pioggia e colpi di spazzolone e di vernice tra i muri delle città e le strade delle periferie più grigie, o che finisce—a volte soffocando, altre scroccando un po’ di rinfrescante aria condizionata—tra le sale di una galleria, vale la pena portarle avanti, quelle discussioni, ben oltre il pubblico di appassionati ed addetti ai lavori che può avere un sito web di settore, la sala conferenze di un museo o le pagine di un catalogo.
Di arte di (e tutta la collezione di preposizioni: da/in/con/su…) strada se ne dovrebbe parlare per strada. Con mia nonna che ramazza. Con quelli che non alzano mai gli occhi al cielo e finiscono col calpestarsi i propri piedi. Coi bambini che camminano per mano con i genitori per andare a scuola e chiedono cosa sia quella città che brucia sul muro del Centro Sociale. Coi poliziotti che corrono dietro al “vandalo” e qualche volta ci scappa pure la tragedia.
Epperò.
Però non funziona così. In una società in cui del pubblico se ne parla solo in privato (e viceversa), il dibattito sull’arte—non so se per sfiducia o codardia—si rifugia dove c’è qualcuno pronto ad ascoltare o a prenderne parte, rischiando in questo modo di perdere lo slancio e mettersi in stand-by dietro a qualche porta e dentro a qualche sala, discutendo di passato e di futuro ma perdendosi il flusso ininterrotto del presente, nel quale l’arte si compie notte dopo notte, mutevole e perennemente in fuga, a passi sempre più lesti, svolgendo per il pensiero la stessa funzione che hanno le piante per la vita: respirandone i veleni e trasformandoli in aria fresca che mette in moto le teste e fa bene all’anima, se impari a respirarla a fondo.
E a proposito di aria fresca, dalle parti di Gaeta da un paio d’anni ce n’è in abbondanza grazie ad un’iniziativa come Memorie Urbane dove, oltre agli artisti che realizzano i loro lavori sui muri della città (e della vicina Terracina), da domani si parlerà di street art con cognizione di causa e “in tempo reale”, durante il festival, con la vernice delle opere ancora fresca, durante una conferenza che prende il titolo da una mostra organizzata lo scorso anno in Finlandia, dal titolo: Street Art: the new generation.
La conferenza, che si snoda in due giornate e che vedrà la partecipazione di artisti, curatori, critici, giornalisti, blogger, storici dell’arte e pure avvocati, intenti a dibattere su ogni singolo aspetto del fenomeno, da quello artistico a quello urbanistico, da quello legale a quello curatoriale, passando per la conservazione delle opere, proverà a fare il punto (un punto quanto mai difficile da cogliere visto che non sarà certo un gruppo di esperti a fermarne la corsa) sulla scena contemporanea.
Unico cruccio: la conferenza è al “chiuso” di una pinacoteca. Ma sta al pubblico, quello “normale”, dei non addetti ai lavori, ad aiutare gli esimi relatori a spalancare le finestre.
QUANDO: 18 maggio, 16,30 – 19.30 | 19 maggio, 10,30 – 13,00
DOVE: Pinacoteca Comunale | via de Lieto 2, Gaeta | mappa