#Fotosociality | Droste Effect

Il cosiddetto effetto Droste indica quella tecnica che in pittura—ma in piena era digitale è ormai praticata anche in fotografia—consiste nel ripetere dentro ad un’immagine l’immagine stessa, e così via, immagine dentro all’immagine finché si riesce a distinguerla.
Il nome deriva da una marca di cacao olandese degli anni ’70: l’illustrazione sulla scatola rappresentava un’infermiera con un mano un vassoio e sul vassoio la scatola di cacao, su cui era illustrata un’infermiera con in mano un vassoio e sul vassoio la scatola di cacao, su cui…

Da questo escheriano fenomeno prende il nome un nuovissimo progetto editoriale—Droste Effect, appunto—fondato e realizzato da Dania Rotatori, Matilde Soligno e Vincenzo Estremo.
«L’idea è di lasciare gli artisti liberi di esprimersi su un formato specifico, creando opere ad hoc per la rivista» mi racconta Vincenzo.

Nel numero zero, uscito appena qualche giorno fa e presentato per la prima volta al Fruit, l’eccezione che conferma la regola è l’artista tedesco Thomas Kilpper, che su Droste Effect ha pubblicato il suo Revolutionary free speach, presentato alla Biennale di Venezia di due anni fa, focalizzato sul tema dell’avanzamento del populismo in Europa. Riconosco, tra le pagine della rivista, Calderoli, La Russa, Andreotti, la Santanchè, il Papa emerito…
«Quegli stessi ritratti alla Biennale vennero installati sul pavimento, in modo che i visitatori potessero calpestarli, mentre da una sorta di speakers’ corner potevano pure urlare invettive contro di loro». Niente male, penso. Liberatorio. Nulla vieta di urlargli contro e calpestarli pure dalla rivista. Ma sarebbe un peccato.

Oltre a Kilpper, ospiti della prima uscita sono Teodoro Lupo, Iacopo Seri, Cristiana Palandri, Skki ©, Giulia Bonora, Nicola Genovese e Massimo Ricciardo.
Teodoro Lupo, artista italiano di base a Berlino, per Droste ha deciso di costruire una sorta di poema, un’elegia, utilizzando foto scattate a random per la capitale tedesca. Seri invece, dopo una residenza presso Documenta, è andato a Città del Messico per fare un’altra residenza presso la Soma e una volta lì ha iniziato a cercare lavoro: per il magazine ha elaborato un progetto che gioca sulla sua condizione di migrante 2.0, come si autodefinisce, che se ne va da un Paese (per ora) ancora avanzato per trovare opportunità nel cosiddetto secondo mondo, progetto che si basa su una corrispondenza via mail proprio con la rivista.

Sull’interazione tra artista e magazine si fonda anche il lavoro dello street artist polacco Skki ©. «Quando gli abbiamo questo un’opera ad hoc lui ci ha risposto, in pratica, “che non aveva un cazzo di idea” e quindi ci ha mandato una serie di sentences molto brevi attraverso le quali parla della sua condizione di artista a cui hanno chiesto qualcosa».
A dimostrazione, se ce ne fosse bisogno, che pure se non si ha nulla da dire basta dire che non si ha nulla da dire e l’opera d’arte concettuale è bell’e pronta…

Cristiana Palandri, artista di base a Firenze, invece ha fatto un lavoro interamente basato su(o)i capelli, una sorta di performance basata su acconciature estreme.
Spazio anche per l’ossessione contemporanea per il cibo, su Droste Effect, ma in maniera ovviamente inconsueta: l’opera di Giulia Bonora, che è poi anche l’infermiera della copertina (che a sua volta cita la famosa scatola di cacao olandese) propone una serie di ricette per ricostruire delle crocchette olandesi («per noi credo immangiabili» specifica Vincenzo) insieme ad una macchina per l’autoalimentazione.

E c’è pure chi, per Droste, si è costruito addirittura una nuova identità, come ha fatto Nicola Genovese, che ha iniziato ad accumulare oggetti acquistati su eBay per trasformarsi in un indiano americano che suona post-rock con il suo ukulele (!), in pieno spirito “posso sembrarlo dunque lo sono”.

Dunque Droste Effect come contenitore e al contempo incubatore di progetti d’arte. Ma perché fare una rivista, di questi tempi, e non ad esempio un sito web?
Abituato alle solite risposte standard (per fare qualcosa di diverso, perché una rivista come questa non l’abbiamo mai trovata e decine di variazioni sul tema) la sincerità dei ragazzi di Droste quasi mi spiazza: «due di noi vengono dall’editoria, uno dall’arte contemporanea e dalla curatela. Non pensiamo che il nostro magazine sia qualcosa di mai visto né di diverso. Ma ci piaceva l’idea di confezionare una piccola mostra in un formato quasi tascabile. Comunque portatile. Che ogni sei mesi [la cadenza è appunto semestrale, ndr] si rinnova».
Chapeau. Anzi. Un cappello con scritto chapeau con dentro un cappello con scritto chapeau, con dentro…

Questo post fa parte di Fotosociality, progetto lanciato da Samsung per promuovere la sua fotocamera “social” Galaxy Camera, con la quale sono state scattate tutte le foto dell’articolo.

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