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Il brutalismo è una corrente architettonica che mi ha sempre affascinato, col suo richiamo alle fortezze da romanzo di fantascienza, la cruda spietatezza della materia, i blocchi geometrici che proiettano a terra ombre cupe e massicce degne dell’immaginario estetico di un regime assoluto, una mastodonticità intrinseca che sembra studiata apposta per far sembrare ancor più piccoli e patetici e spersonalizzati gli umani che vagano sotto o dentro a quelle strutture. Il brutalismo è soppraffazione. Già a partire dal nome—che deriva dal francese béton brut, cemento grezzo—dove un vago odor d’accademia non riesce a dissipare del tutto il puzzo di totalitarismo, la carica da fumetto distopico e violento.

E proprio al brutalismo è dedicato l’ultimo numero di Clog, magazine che esplora l’architettura a partire da singoli temi (nei primi cinque numeri: Big, Apple, Data Space, Rendering, National Mall) e sviluppandoli da diversi punti di vista ed approcci multidisciplinari.

Purtroppo non sono riuscito a trovare immagini delle pagine interne ma la splendida copertina, brutale e dunque perfettamente in linea con il contenuto, promette bene.

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