Giovani illustratori alla Fiera di Bologna

Credo molto nella selezione naturale, per cui in realtà ai giovani illustratori che cercano ribalta tra gli stand della Fiera Internazionale del Libro per Ragazzi non servirebbe nessuna guida. Basta lasciare che la natura faccia il suo corso.

Due cose però mi danno noia, da sempre: i gruppi di illustratori con la cartellina che vagano disperati da un padiglione all’altro senza nessuna organizzazione, e gli stessi illustratori che quando tornano a casa sparlano di tutti, dicendo che nessuno voleva vedere i loro book.
Con la mia ormai nota irritante simpatia (va bene, togliete pure simpatia), provo a rispondere qui di seguito ad alcune domande classiche raccolte nel tempo.

Spero che questo esercizio di alfabetizzazione di base sia utile, una volta per tutte. Non voglio essere antipatico a tutti i costi (ma in fondo, perché no?), ma trovo l’ostinazione improduttiva e alla lunga fastidiosa. Se andate alla Fiera ci sono alcune nozioni base che dovete assorbire. Vogliamo provarci? Dai, proviamo!

1.Perché gli editori non guardano i book? Ho chiamato la Fiera e mi hanno detto che li guardavano, ma non è vero.

La Fiera di Bologna è una fiera professionale, principalmente di scambio diritti. Si è sempre distinta per l’attenzione verso l’illustrazione, con la Mostra degli Illustratori e con incontri sul tema dell’albo illustrato, ma non è una fiera degli illustratori.
Uno spazio è riservato poi ai traduttori, parte fondamentale dell’industria editoriale, e uno agli agenti, anch’essi tra le basi portanti del commercio internazionale.
Detto questo, rimane una fiera in cui fondamentalmente si incontrano, direttamente o attraverso agenti, gli editori. La Fiera non è destinata agli illustratori, almeno non in esclusiva, quindi ognuno, nel suo stand, ha il diritto di comportarsi un po’ come vuole.

Cercate di capire una cosa: la Fiera, intesa come struttura, ospita varie manifestazioni fieristiche (come il Cosmoprof, la fiera dei parrucchieri).
La Bookfair, che è l’organizzazione che si occupa nello specifico della fiera del libro—ci siete fin qui?—la Bookfair organizza, gestisce e supervisiona l’allestimento. Ma non è un organo di controllo, a meno che non si verifichino fatti gravi. E’ un po’ come un aeroporto, che ospita varie compagnie. Se il tuo volo è in ritardo, non te la puoi prendere con l’aeroporto, perché—se anche dipendesse da un problema sulla pista—il tuo referente rimane la compagnia di volo. E se al bar hanno finito i panini col prosciutto? Di nuovo, non puoi lamentartene con l’aeroporto. Nel primo caso quindi farai un reclamo alla compagnia di volo, nel secondo vedrai se tra i panini rimasti c’è qualcosa che ti piace oppure cercherai un altro bar.

Continuo a ripetere che in tanti andate alla fiera come se andaste all’Agenzia delle Entrate o in Posta a spedire una raccomandata: se in un ufficio pubblico non ricevete il servizio, avete diritto di pretenderlo. La Fiera invece è una manifestazione in cui privati espongono il proprio lavoro e incontrano il pubblico a propria discrezione. Se qualcuno non è interessato a visionare il vostro lavoro è inutile fare i musi: non ne avete nessun diritto, nemmeno se vi portate una cintura esplosiva.
Non siete d’accordo? Cazzi vostri. Cambiate Fiera.

2.Perché i francesi odiano gli italiani? Ho provato a chiedere appuntamento ma se non parli francese nemmeno ti rispondono.

Frequentandoli ormai da qualche anno mi sono reso conto che praticamente la totalità dei francesi è accomunata da un fatto: parla francese. Come ho già scritto, la Francia non è una regione d’Italia e i francesi hanno tutto il diritto di parlare il francese. Vi svelo poi una piccola curiosità: di solito, nel proprio paese ognuno parla la sua lingua che, per quanto somigli, è diversa dalle altre. Quindi: volete parlare con i francesi? Imparate il francese. E’ tanto difficile da capire?

Una ragazza una volta mi ha detto: «Ma ho 30 anni, cosa faccio, mi metto ora a imparare una lingua?».
Per me, cosa vuoi che ti dica? Se a 30 anni vuoi seppellirti, ti procuro una pala.

Sul fatto che i francesi non parlino spesso altre lingue, si può discutere, ma: primo, sono affari loro; secondo, quando cerchi lavoro in un paese, ti conviene impararne la lingua.
Qualcuno ha contestato questa mia affermazione dicendo: «E loro perché non imparano l’italiano visto che vengono a una fiera italiana?».
Sappiatelo: questo tipo di atteggiamento stupidamente ostile verso il prossimo è un biglietto di sola andata che porta al fallimento sicuro. Lavorando su questo atteggiamento e mettendo le cose nella giusta prospettiva, si possono fare molti progressi nella ricerca del lavoro, ma prima bisogna capire un po’ di cose.

Quella di Bologna è una fiera internazionale. Gli editori non vengono necessariamente a incontrare gli italiani. Di solito anzi, la maggior parte degli stranieri non visita nemmeno gli stand italiani. E’ solo una piazza di scambio. Sono gli agenti degli editori italiani che cercano gli stranieri, per vendere e per comprare, e per farlo imparano la lingua dei paesi con cui vogliono commerciare. In questo senso c’è forse uno squilibrio a favore degli stranieri, che vendono alle loro condizioni e comprano sempre alle loro condizioni.
Devi andare tu da loro se vuoi vendere, devi andare tu da loro se vuoi comprare.

Ma questo assetto non ha nulla a che vedere con la presunta antipatia nei confronti degli italiani o con il senso di superiorità che alcuni avrebbero nei confronti degli italiani (e che personalmente non ho mai riscontrato). E’ solo che gli italiani dal punto di vista commerciale hanno spesso meno mordente, meno capacità di affermarsi in una contrattazione commerciale. Se ci fate caso, tra le varie cose, l’Italia non ha praticamente una politica estera, a meno che invitare spogliarelliste marocchine a serate di bunga bunga tra ministri non sia omologabile come tale. Ma non credo.

Torniamo a noi. In realtà più o meno tutti parlano alcune lingue: io lavoro con alcuni portoghesi grazie al fatto che parlano francese e ho lavorato in Austria per lo stesso motivo. Ho dei contatti con alcuni spagnoli che parlano italiano e con alcuni sto lavorando, di nuovo grazie al fatto che parlano francese. Con l’inglese ho più o meno sempre comunicato con tutti gli altri: americani, canadesi, giapponesi, coreani, taiwanesi.
Però, ancora una volta, cercate di capire: non c’è nessun obbligo, per nessuno, di capire la lingua che parlate, se è diversa dalla loro.

Anni fa ero a Parigi, credo fosse la prima o la seconda volta che ci andavo.
A un certo punto si avvicina un coppia, sui trenta. Sembrano in affanno. Agitando le mani mi dicono «Manger, manger» (pronunciato come lo scrivo).
Io mi giro verso la mia ragazza e dico: «Ma che vogliono? Soldi per mangiare?».
Al che uno dei due mi dice: «Aò, ma siete italiani? Meno male! E’ n’ora che stamo a girà! Ma andò se magna in ’sta città?»
Eravamo a due passi dal quartiere latino. Giravano da un’ora e nel centro di Parigi e non avevano trovato un ristorante.
Ma si può andare in giro così?

Studiate le lingue. E se andate in un posto, comprate una guida.
Di solito ci sono indicati anche i ristoranti.

3.Ho mostrato il book ad alcuni editori ma lo hanno sfogliato in neanche cinque minuti. Se non avevano voglia di guardarlo perché non me lo hanno detto subito?

Cinque minuti sono un tempo più che sufficiente per sfogliare un book e in fiera sono la norma. Quando hanno finito, alzatevi, ringraziate, lasciate il vostro biglietto da visita e andate al prossimo appuntamento.
Io quando andavo in Fiera ne facevo uno ogni 15 minuti.

4.Perché i giapponesi non guardano mai i book degli italiani? Se non gli interessano allora cosa ci vengono a fare alla Fiera?

Per i giapponesi vale lo stesso discorso che per i francesi. Vengono alla fiera per incontrare altri editori. Di fiere come quella di Bologna ce ne sono parecchie nel mondo: c’è Tokyo, Londra, Francoforte, mi pare Chicago. Gli editori si spostano in massa da una all’altra, ovviamente secondo l’interesse e le possibilità economiche valutate in base alla distanza e al periodo dell’anno. I giapponesi non lavorano molto con i gaijin (i non giapponesi) quindi non hanno l’abitudine di guardare book. In fiera lo fanno ma in genere ci vuole l’appuntamento e bisogna prenderlo prima.

La domanda che mi ha fatto qualcuno a questo punto è: «Ma allora non ce lo avrò mai l’appuntamento. Come fai a sapere che c’è uno finché non lo vedi?».

Qui torna il discorso di prima: la fiera non è l’Agenzia delle entrate. E gli editori non sono un ufficio pubblico né un bar dove, passando per caso, entri per prendere un caffé e vedere se trovi delle buone brioches. Di norma dovresti conoscere le persone alle quali ti rivolgi per proporre il tuo lavoro e chiedere quindi l’appuntamento solo ad alcuni, per evitare di perdere il tuo tempo e farne perdere agli altri.

Servono sempre alcune fiere, in cui si raccolgono i cataloghi e si studia quello che c’è in giro, prima di pensare di prendere degli appuntamenti. Una volta capito chi vi interessa, poco prima della fiera l’elenco degli espositori è consultabile sul sito e non vi sarà difficile localizzarli. All’ingresso è in vendita il catalogo degli espositori che è un investimento se volete fare questo lavoro.

Uno dei motivi per cui gli editori non guardano i book è che c’è troppa gente che si propone in modo casuale. Ricordate che gli espositori non hanno nessun dovere nei confronti degli illustratori e degli autori.
La regola universale del commercio è che: se avete qualcosa da vendere, sta sempre a voi convincere gli altri a comprare.

Continua nella seconda parte.

editorialista
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