1pm | Anthony Genovese: intervista allo chef del Ristorante Il Pagliaccio di Roma (Rm)

Il Pagliaccio
via dei Banchi Vecchi 129 Roma
Tel. 06 68809595

Anthony Genovese è quello che nelle nazionali sportive si chiamerebbe un oriundo: genitori calabresi emigrati in Francia e lui nato in Francia, come uomo e come chef. La cucina di Anthony è una delle più intimiste ed immaginifiche che vi può capitare di gustare. Intimista: acido, dolce, salato, amaro turbinano nei piatti e nel menù come emozioni di un animo affollato, e si pongono in compostezza apparente come l’animo pieno e affranto di chi vorrebbe dire, urlare, ma ha imparato che deve sussurrare. Immaginifica: una cena alla tavola di Anthony Genovese è come leggere Corto Maltese: a fine pagina sei nascosto in una calle veneziana, quando la pagina inizia sei in rada alla foce del Rio della Plata. Materie prime, erbe, spezie, cotture, ispirazioni percorrono il menù come Corto Maltese le pagine delle sue storie: ogni piatto può nascondere un’angolo di Testaccio come un lungofiume asiatico.


Quanti anni hai, dove sei nato, da quanto fai il cuoco?

Ho 45 anni, sono nato in Francia e da 28 anni faccio il cuoco.

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Il nome del cuoco dalla cui cucina ti senti più distante e quello alla cui cucina ti senti più vicino?

Renè Redzepi, la sua filosofia non potrà mai trovare un punto di incontro con la mia cucina. Mi piacerebbe avvicinarmi a Roca.

La III media del tuo paese ha visto le ultime puntate di master chef e ne hanno parlato in classe. Al docente di italiano viene l’idea di far vedere ai suoi alunni come funziona un ristorante dal di dentro e li porta in visita al tuo ristorante. Cosa prepari loro per pranzo?

Preparerei le polpette, racchiudono tecnica e classicismo, le basi di ogni cucina…

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Dolce, salato, acido, amaro, quale scegli? L’umami non vale…

Salato indubbiamente.

Un incontro casuale ma hai la certezza che si tratti della tua anima gemella. Ti confessa un debole per il cibo gourmet, riesci ad invitarla a cena e ti giochi tutto su una singola preparazione. Un piatto tuo o un grande classico? Quale?

Un piatto mio che racchiuda un po’ me stesso, la mia idea di cucina ed il mio percorso, l’ostrica in crema di burrata con granita di lichees e pompelmo.

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“Chilometrozero”, “buonogiustoepulito”, “naturale”, “artigianale”… quanta etica serve per fare un gran piatto?

Grande qualità e rispetto della materia prima.

Sono appena entrati in sala l’ennesimo ispettore di guida e, dopo pochi minuti, un tale che fa un sacco di domande e scrive compulsivamente sul suo cellulare; si siedono a tavola ed ordinano. Sotto la salamandra i piatti sono pronti, siamo agli ultimi ritocchi. Ti ricordi di aver in tasca per caso, guarda il caso, una boccetta nuova di pacca di guttalax ed il fondo di un flacone di veleno per topi… e sono tutti girati dall’altra parte…

Il rispetto è la prima cosa per ogni mio cliente, chiunque esso sia.

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