«Quattro chilometri ancora. La strada s’arrampica nel crepuscolo verso ruderi battuti dal vento. Il forte è più vecchio dell’anno Mille, è Camelot e Golgota nello stesso tempo. O forse Mardin, la rocca turca aggrappata al cielo, alta sulla Mesopotamia senza fine. Di nuovo, sopra il mare di nubi che ribolle a valle, quell’impressione di galleggiare, stare a prua di un bastimento.
Susanna, la mamma-albergatrice-castellana, mi viene incontro nel buio per farmi strada tra rocce e muri sbrecciati. Il tempo di un bicchier di vino in locanda e a valle le nubi sono diventate un mare latteo, sotto il quale pulsano in trasparenza le luci dei villaggi. Sopra, in uno squarcio, la Luna. Lontano, le masse nere della Majella e del Sirente. Più in là, l’arcipelago sannitico, sulla linea dei terremoti. A Occidente, i Monti Marsicani oltre il Fucino, il lago che non c’è.»
Paolo Rumiz, La leggenda dei monti naviganti, Feltrinelli, 2007
Parte da una terra così la geografia emozionale di Ester Grossi. Da un Abruzzo anacronistico, spostato nel tempo e mutato nello spazio, con un lago che non è più lago ma se ne sente lo stesso la presenza. E cito Paolo Rumiz perché con Ester—amica-artista, amica per caso, strano folletto ad accompagnare serate ancor più strane—parlavamo proprio di questo bel libro del giornalista triestino quando, durante una recente cena bolognese, mi raccontava della mostra che stava preparando: questa, a cura di Alberto Maria Martini presso la Galleria Spazio Testoni di Bologna.

Fucinus Lacus è una serie di opere che prende vita dai ricordi—quelli vissuti e quelli a loro volta ricordati e raccontati—e dagli elementi.
Primo ricordo (acqua): un lago, il Fucino appunto, che era il terzo lago d’Italia ma che poi è stato prosciugato a fine ‘800 anche se già all’epoca dei Romani—che lì andavano in villeggiatura—si pensava a una bonifica per risolvere il problema delle inondazioni e della malaria. Giulio Cesare fu il primo a provarci ma venne fatto fuori prima. Tu quoque Brute….
Poi venne il turno di Claudio, che mise all’opera migliaia di schiavi e riuscì a realizzare un canale che però non resistette a lungo. E poi arrivò Traiano, e dopo ancora Adriano. Ma niente da fare. Passarono mille anni e ci provarono gli Hohenstaufen di Svevia, gli Aragonesi, i principi Colonna di Roma, i Borbone di Spagna e delle Due Sicilie.
Fu proprio sotto ai Borbone che nel 1855 iniziarono i lavori che, tre ingegneri più tardi e un nuovo re sul trono (Vittorio Emanuele II di Savoia), nel 1873 finalmente si conclusero in modo definitivo, lasciando al posto dell’acqua uno spettacolare e fertile altipiano, del quale però i pescatori della zona non sapevano che farsene e si dovettero chiamare contadini dalle Marche e dalla Romagna prima che gli “indigeni” decidessero di convertirsi all’agricoltura.

Secondo ricordo (terra): un teschio ritrovato negli scavi compiuti nella zona. Il papà di Ester è un archeologo e lei inevitabilmente ha vissuto, tra le mura di casa, tutte le storie e le Storie riportate da suo padre. Il passato riaffiora dal terreno attraverso un simbolo.
Un passato da ricostruire, catalogare, mettere insieme come le tessere di un puzzle, che è poi il concetto chiave della mostra, che torna in forma di Tetris nel video-trailer [lo trovi in fondo] e si rifà sia alla ricostruzione del ricordo, che a quella geografica del territorio—com’era e, attraverso una visione à la Google Earth, com’è.
Terzo ricordo (aria): nella zona del Fucino nel ’61 viene costruito il Centro Spaziale “Piero Fanti”, in pratica il più grande teleporto civile d’Europa, dove un centinaio di antenne paraboliche mandano e ricevono informazioni ai e dai satelliti. Immagina un ragazzino—anni prima che internet ti spiegasse tutto—a sognare di spazi infiniti, basi interstellari e razzi in partenza…

Ma c’è un quarto tipo di ricordo che ha funzionato come l’innesco per l’intera serie di quadri: la pura e semplice nostalgia di casa.
«Come accade spesso, la voglia di conoscerne meglio la storia riemerge con il tempo e la lontananza» dice Ester, che nelle sue opere è riuscita nella rara impresa di evocare, attraverso il suo stile fatto di geometrie precise, di colori piatti, di forme che non si sovrappongono ma si accostano e s’incastrano le une con le altre (come il Tetris, appunto), la storia e la geografia di una terra, di farle proprie infarcendole di citazioni sottili (David Linch, il web, le divinità pagane, la fantascienza retro, la cronaca e la politica) e al contempo di restituirle al Fucino, sia a quello che non c’è più che a quello che sarà, con un tocco di magia in più.
QUANDO: 9 marzo – 18 maggio 2013
OPENING: 9 marzo | 18,30
DOVE: Galleria Spazio Testoni | via D’Azeglio 50, Bologna | mappa | fb

video: Nico Murri
musica: Life & Limb, Ghostly Incantations, 2012