vinoAlvino | tra fermenti e barricate

Siamo in pieno fermento. Passata la fase tumultuosa, dopo la svinatura – ossia l’operazione con cui si separa il vino fiore dalle fecce – il vino entra in una fase di fermentazione lenta. Il vino fiore, nonostante il suo nome poetico, non ha un bel carattere: è disarmonico, aggressivo, aspro… un po’ rozzo, insomma. Ha bisogno di affinarsi, di elevarsi. Per farlo, deve trascorrere del tempo in cantina, in modo da esprimere le sue caratteristiche al meglio.

Si fa spesso confusione fra maturazione, invecchiamento e affinamento e si usano questi termini come se fossero intercambiabili fra loro. In realtà, il tempo più o meno lungo che il vino passa in cantina dal momento della svinatura fino a quando lascia l’azienda nella sua bottiglia si articola in fasi che differiscono fra loro per durata, metodi di lavorazione e tipo di interventi adottabili.
La prima parte di questa permanenza in cantina si definisce maturazione e inizia a partire dal primo travaso del vino appena svinato in recipienti di grossa capacità. Questi possono essere di cemento, vetroresina o acciaio, anche se per alcuni vini pregiati si consiglia fin dall’inizio di utilizzare botti di rovere non molto grandi e ben abbonite, ossia pulite e trattate in modo tale da assicurarne la tenuta.

Vi ricordate la regola del ma anche no? Vale anche per tutti i passaggi di cui si parlerà oggi, compreso quello appena descritto: c’è chi le botti non le abbonisce, chi non ha altro dio al di fuori dell’acciaio, chi rifugge le pratiche di cantina come la peste e chi le invoca come irrinunciabili. Insomma, quanto si dirà non è vangelo. Come sempre.
Una cosa da tenere presente è che il vino è vivo e, quando fermenta, può andare incontro a molte trasformazioni, non tutte gradite. Anche il legno, in qualche modo, è vivo. E quindi, se il vino fermenta nel legno, è tutta vita.

Tanto per cominciare c’è uno scambio fra contenitore e contenuto: il legno cede qualcosa al vino, che a sua volta lascia una traccia sul legno che lo ospita. E poi c’è uno scambio, seppur minimo, fra l’interno della botte e l’esterno, perché attraverso le fibre del legno il vino “respira”. Questo è un bene per i rossi, che amano quel minimo di ossigenazione che consente loro di fermentare in modo più completo, mentre è generalmente sconsigliato per i bianchi, che patiscono invece il contatto con l’ossigeno. Senza contare che la questione legno vs acciaio, o botte grande vs botte piccola genera discordie infinite tra opposte fazioni anche per motivi che vanno ben al di là del colore del vino. Ma andiamo con ordine.

Ho fatto cenno, più sopra, alle pratiche di cantina, ossia agli interventi attuati dal produttore sul vino in fermentazione lenta. Questi interventi consistono essenzialmente in travasi e colmature/scolmature, ma possono spingersi ben oltre nel corso della produzione (vedi ad esempio le correzioni e le stabilizzazioni) ed essere molto più invasivi, tanto da essere caldamente osteggiati non solo dai produttori di vino naturale, ma anche da chi sposa una filosofia produttiva di qualità. Ne parleremo magari in futuro, soffermandoci oggi brevemente solo su travasi e colmature.

I travasi consistono nello spostare il vino da un recipiente all’altro, allo scopo di liberarlo dalle fecce che man mano si depositano sul fondo e che potrebbero conferire al vino odori e sapori sgradevoli, oltre a favorire lo sviluppo di microorganismi dannosi.

Le colmature si eseguono affinché le botti siano sempre colme di vino, per evitare le ossidazioni e lo sviluppo di microorganismi aerobi che potrebbero causare malattie.

La scolmatura è il procedimento contrario, si esegue per evitare perdite di prodotto causate dall’aumento di volume del liquido (cosa che avviene di solito in estate o in zone calde) e consiste semplicemente nel togliere una certa quantità di vino dalle botti.

Ma torniamo al lungo viaggio di elevazione del vino. Passata la fase della maturazione, il vino che deve affrontare un certo invecchiamento passa di solito in botti di legno, dato che questo materiale, oltre a cedere al vino sostanze che contribuiscono ad arricchirne il bouquet, permette anche una leggera micro-aerazione. E siamo così arrivati alla spinosa questione botti grandi/botti piccole, su cui vale la pena di fare un po’ di chiarezza dato che, in anni recenti, barric(c)ato è divenuto una sorta di attributo salvifico in grado di donare a qualsiasi vino un’aura di eccellenza e superiorità – con la complicità del vecchio adagio “Il vino buono sta nella botte piccola”, meno modaiolo ma radicato sul territorio alla voce saggezza popolare.

In Italia, le botti grandi sono quelle tradizionalmente preferite per l’invecchiamento di grandi rossi come Barolo e Brunello di Montalcino. Sono in genere in rovere di Slavonia (il rovere è il legno di quercia, la Slavonia una zona della Croazia quasi al confine con l’Ungheria) e hanno una capacità variabile, ma comunque molto elevata – 10 ettolitri o più. Cedono meno sostanze al vino che contengono rispetto alle botti piccole, perché c’è meno contatto fra vino e legno, e non coprono quindi i sentori e i sapori tipici del vino stesso. Inoltre durano più a lungo delle botti piccole.

La lotta al “monopolio” delle grandi botti è esplosa in Italia all’inizio degli anni 80, ma già in anni precedenti c’erano stati i primi segnali. Sulla falsariga della Francia, che predilige da sempre per l’invecchiamento dei suoi grandi rossi la barrique – una botte di circa 225 litri di capacità – si è andato affermando anche da noi un gusto per i vini barricati. In molti casi per una questione di moda e di palato poco allenato, che si fa lusingare dalle sostanze più riconoscibili che il legno piccolo cede al vino (vaniglia, cacao, tostatura, spezie) senza badare all’equilibrio fra questi sentori e quelli del vino stesso. La lotta fra innovatori e tradizionalisti si è trasformata in alcuni casi in vera e propria guerra, con risvolti anche pittoreschi.

il Barolo no barrique no Berlusconi di Bartolo Mascarello
Anni fa fecero notizia i Barolo Boys, giovani produttori piemontesi contrapposti per filosofia e scelte produttive a tradizionalisti come Bartolo Mascarello, produttore di Barolo talmente contrario al “vino di falegnameria” da specificare nelle sue etichette: No barrique, no Berlusconi! (la qual cosa gli procurò una querela, ma anche l’ammirazione sconfinata dei suoi estimatori).

Al di là della moda e delle lotte fra avanguardisti e tradizionalisti, si può dire che la barrique usata in modo oculato e sapiente, per determinati vini e non incondizionatamente per tutti, contribuisca effettivamente ad arricchire il vino. Ma procurarsi delle barrique di qualità non è impresa facile. A cominciare dalle merrains, ovvero le liste di legno utilizzate per le doghe necessarie a costruirle, la strada è tutta in salita. Bisogna aggiudicarsi le partite di legno migliori, nel corso di aste al cardiopalma in zone specifiche della Francia (pregiatissimo il rovere del dipartimento di Allier, con al suo interno la zona del Tronçais) e di non frasi fregare da chi ti vende merrains tagliate e non ricavate per spacco (in Francia gli addetti a questo lavoro si chiamano fendeurs), o stagionate male, o tostate a gas invece che con la fiamma ottenuta dallo stesso legname della barrique. Insomma, l’arte della piccola botte è un’arte difficile.

In Italia un ottimo artigiano con una tradizione di grandi botti e ormai anche di barrique alle spalle è Angelo Gamba – sul cui sito, bottigamba.com, si illustrano anche i dettagli della fabbricazione delle botti piccole.
Una volta ottenute buone barrique, va detto che le si può usare al massimo per tre anni, poi vanno sostituite. E smaltite. Si noti che il passaggio del vino non avviene sempre in barrique nuove, ma possono esserci passaggi prima in barrique nuove e poi in altre di due o tre anni.

Bisogna chiedere al vino cosa fare, non gli si può fare violenza: nel caso del passaggio in legno piccolo, tocca andarci cauti, o quello che si otterrà sarà davvero roba da falegnameria. Ogni vino ha i suoi specifici sentori e sapori, il passaggio nel legno dovrebbe esaltarli, non coprirli. A meno che non si voglia mascherare con gli aromi del legno e della tostatura una carenza di base, una povertà di carattere, un vino insulso o piatto. Ma allora si esce dal campo della vinificazione e si entra in quello della mistificazione. Come ha detto qualcuno, se tutto ciò che vuoi è sapore di rovere, basta buttare una manciata di trucioli nella vasca di fermentazione. E c’è anche chi lo fa davvero, quindi occhio, anzi, naso e palato. La lotta non è solo a monte, ma anche a valle, quando sta a noi scegliere.

Una curiosità: il verbo barricare deriva proprio da barrique (come attestato in Francia già nel ‘500) dato che, per erigere barricate negli scontri di strada, venivano utilizzate appunto piccole botti riempite di terra e detriti.

Scendiamo ora dalle barricate e vediamo cosa avviene al vino al termine del suo passaggio in botte – passaggio che può essere più o meno lungo a seconda del vino, dell’annata, delle scelte del produttore. La terza e ultima fase è quella dell’affinamento in bottiglia, dove il vino si arricchisce ulteriormente di aromi, anche se attraverso fenomeni non più ossidativi ma riduttivi, che avvengono cioè in assenza di ossigeno. La fase dell’imbottigliamento è una fase molto delicata e deve avvenire in condizioni ottimali per evitare danni (attacco di microorganismi, fenomeni ossidativi, ecc.) che possono essere anche gravi.

Le tecniche di imbottigliamento sono varie, così come diversi sono i tipi di imbottigliatrici meccaniche. Le bottiglie più adatte ai vini destinati a restare in cantina più a lungo sono quelle di vetro scuro, che evita alla luce di indurre fenomeni di imbrunimento. Se le bottiglie vengono mantenute in posizione orizzontale, non c’è praticamente alcuna possibilità che avvengano scambi gassosi con l’esterno e quindi non si verificheranno fenomeni poco graditi nel vino. Anche i locali di conservazione sono di preferenza bui e, per i vini molto pregiati, possono addirittura essere dotati di luci a raggi infrarossi. Quanto tempo il vino debba restare ad affinare in bottiglia lo decidono in primo luogo i disciplinari (tempo minimo), ma anche le scelte dei produttori o le condizioni specifiche delle singole annate.

Sdraiato al buio, al riparo dalla luce e da tutti gli agguati che lo hanno insidiato fin qui, il vino si gode finalmente un po’ di meritato riposo e si prepara al momento in cui dovrà lasciare l’azienda. Lasciamolo riposare in pace. Torneremo a parlare di lui quando sarà il momento di stapparlo.

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