Mentre si avvicinano le elezioni assistiamo ad un fisiologico tripudio di satira politica: lo sbeffeggiare i potenti (o i futuri tali) è direttamente proporzionale all’incertezza dei potenziali votanti e alle idiozie sparate dai candidati per accaparrarsi preferenze. In mezzo al dibattito urlato, alla polemica spesso fine a sé stessa, ai titoli dei giornali che, utilizzando il vocabolario della violenza — attacco, crollo, colpire, shock — vanificano analisi ed approfondimenti drammatizzando lo scontro e strizzando l’occhio ai sentimenti peggiori degli elettori. La selva di dichiarazioni e di virgolettati, in contraddizione gli uni con gli altri non solo all’interno di uno stesso schieramento ma pure nella testa dei singoli personaggi, diventano materiale creativo per più o meno ironici e dissacranti meme che — tra genio e banalità — viaggiano in rete o sui manifesti elettorali hackati.
E’ l’Italia, bellezza.
Affascinante, patetica, di sicuro però stimolante anomalia tra le democrazie occidentali. O sarebbe meglio dire: è l’Itaglia, come la chiama l’artista pop Pep Marchegiani in un volume edito da Neo. Edizioni in uscita il prossimo 15 febbraio ed intitolato proprio Circo Itaglia.
L’Itaglia di Marchegiani, artista abruzzese classe 1971, è un’Italia di buffoni e di mostri, che popolano le 122 pagine illustrate del libro attraverso ritratti “truccati” e accompagnati dal grado zero delle informazioni anagrafiche — nome, cognome, luogo e data di nascita, mestiere — e da una citazione. L’intervento di Marchegiani è minimo ma funziona, mettendo a nudo i “personaggi” e svelandone il grottesco attraverso le loro stesse parole. Il commento più efficace ed impietoso è proprio non commentare e lasciar lavorare la realtà.
E la parte meno convincente del libro è proprio quella in cui Marchegiani decide invece di intervenire più attivamente, forzando sul pedale del pop ma rischiando talvolta di finire nell’umorismo da bar o nel qualunquismo da paranoico complottista.
Un libro comunque tragicamente divertente, perfetto per prepararsi al voto o per rimuginarci sopra ad urne chiuse.
In attesa di trovarlo nelle librerie eccone qualche estratto, assieme ad un’intervista fatta via mail all’artista.
Iniziamo da tuo libro. L’ Itaglia che mostri è un paese di buffoni e, appunto… mostri.
Si dice che i politici, per quanto pessimi possano essere, siano comunque, se non una selezione del meglio, comunque uno specchio del Paese che dirigono. Sono piuttosto d’accordo con questa considerazione. Non credo che ai vertici ci sia il peggio quanto piuttosto una summa di quello che poi sono effettivamente gli italiani. Sei d’accordo? E quand’è che secondo te ci siamo trasformati da Italia in Itaglia?
Condivido la citazione ma pensare che “oggetti politici” come il Trota, Scilipoti o la Minetti rappresentino la summa di quello che sono gli italiani, mi raccapriccia.
L’Italia si è trasformata in Itaglia nel momento in cui Bondi ha messo piede in parlamento o nei primi minuti del ministero di Brunetta, o nelle performance dalemiane.
L’Italia è sempre Italia. L’Itaglia è l’universo parallelo in cui siamo stati catapultati negli ultimi vent’anni.
Com’è nata l’idea per il libro?
Per comunicare attraverso le parole dei componenti dello zooverno itagliano. Per meglio capire dove può arrivare — ed è arrivato — l’intelletto ed il delirio di onnipotenza degli zoovernanti.
Credo che “satira” sia una di quelle parola usate spesso a sproposito o come alibi/giustificazione. Spesso, vedi soprattutto programmi tv come Zelig o simili, si definisce satira quella che è in realtà parodia. Cos’è per te la satira?
E’ il comunicare senza censura.
L’arte pop, e la cultura pop più in generale, dissacrando in realtà sacralizza e sacralizzando dissacra. Trasformando un Papa in un Arbre Magique o piazzandolo su un pacchetto di sigarette e mettendolo dunque a paragone con un cancro, stai sia offrendo un punto di vista critico su di lui e quello che rappresenta — la fede, la chiesa, lo status quo — sia sdoganandolo, di fatto allargando i confini del mito, regalandogli nuove sfaccettature.
Che ne pensi? Come li scegli i tuoi soggetti? Entri in dialogo (virtuale) con loro prima di darne la tua interpretazione?
In questo momento storico non c’è dialogo tra il cittadino ed il sordo potere. Mi limito a mettere in chiaro dei loro comportamenti. Nello specifico: il Papa usa la fede come una pistola puntata sul gregge.
In Circo Itaglia il ribaltamento di senso che operi sulle tue “vittime” è molto sottile. In realtà non fai che enfatizzarne la dimensione buffonesca lasciandoli in pratica mettersi in ridicolo da soli con le loro stesse dichiarazioni.
Mi interessa capire il lavoro di ricerca che hai fatto, immagino su quotidiani, web e tg. Come hai scelto i virgolettati che accompagnano i ritratti?
Ho sviluppato la mia ricerca sfruttando il grottesco protagonismo dei personaggi. La loro voglia di esserci “a prescindere”, ora anche sui social networks.
Credo che erroneamente venga considerata pop arte che di pop ha soltanto la “buccia”, l’estetica, e non la concettualità.
Il limite e al contempo la forza della pop art è il fatto di essere indissolubilmente legata ai simboli, di lavorare su icone — personaggi, celebrità, prodotti, aziende — universalmente riconosciute. Molto democraticamente lo spettatore non ha bisogno di grossi strumenti per sviscerarne i piani di lettura più semplici (basta vivere nella società, immerso nei suoi miti) ma la vera pop art, da Warhol ai Simpson, forse l’ultima grande opera pop dei nostri tempi, si sviluppa su diversi piani di lettura.
Quello che vorrei sapere da te è questo: ti capita mai di scoprire solo a posteriori un punto di vista su una tua opera che non avevi notato nel momento in cui la pensavi o la realizzavi?
La buccia di cui parli è proprio la mancanza di messaggi o se vuoi di creatività che affligge questo periodo. Mi capita di riflettere sulla tecnica con la quale ho realizzato l’opera ma mai sul messaggio.
Hai esordito nel campo della moda. Uno dei settori più controversi, che spesso offre di sé una pessima immagine, fatta di sola apparenza e poca sostanza. Immagine che la rete, più che mai, sta contribuendo a diffondere.
Credi che sia stato proprio l’aver lavorato in questo campo ad innescare la voglia di dare un punto di vista dissacrante su quella che è la mitologia contemporanea?
Preciso che lavoro ancora nella moda e condivido la sola apparenza di cui è affetta, ma ad aggravare il quadro clinico direi che alla superficialità si è aggiunta la dipartita della creatività oltre alla presunzione di nascondersi dietro brand ultracentenari per condizionare il mercato ed offendere il target di riferimento.
Uso i supporti e i canali del fashion per divulgare e condividere i miei messaggi ad un pubblico attento ed informato.
Negli anni hai rappresentato criticamente, attraverso l’ironia, la società dei consumi, le aziende, i marchi che sono emblema della massificazione dei consumi. Eppure hai lavorato e lavori ancora per aziende di moda. La vivi come una contraddizione? O una cosa non limita o annulla l’altra?
Attualmente lavoro esclusivamente per 232 MADE IN ART, un marchio di mia proprietà. Ho voluto crearlo per essere totalmente indipendente e libero di massificare i miei messaggi.
In un ipotetico pantheon culturale, chi metteresti come tuoi maestri?
L’intero genere umano.
Siamo in vista delle elezioni. L’Itaglia, secondo te, ha speranze di ritornare ad essere Italia? Come?
L’Italia si è momentaneamente assentata. Sono certo che tornerà più forte.
La guarigione è in corso e, sul come, confido nel buon senso dei miei concittadini nello scegliere il meglio in queste prossime politiche.