il tavolo di Tullio Pericoli | foto Giovanna Silva per Doppiozero.com

#tavolodilavoro

il tavolo di Tullio Pericoli | foto Giovanna Silva per Doppiozero.com

Guardare foto di tavoli seduto a un tavolo (e la probabilità che tu lo sia, al lavoro o a casa, è alta) potrebbe apparire ridondante. Una forma di voyeurismo “a specchio” tale a quale a quello che si verifica quando la domenica a pranzo guardi in tv programmi che trasmettono pranzi e banchetti e grandi chef all’opera, o come quando nella sala d’attesa del medico sfogli riviste dove si parla di uretra, calcoli renali e cataratta (o ancora, ma questa rimane nel campo della pura speculazione, pensa di andare a messa e invece del prete trovarti davanti ad uno schermo gigante che trasmette la celebrazione liturgica di @Pontifex in diretta da Piazza San Pietro).

Che sia ordinata e maniacale oppure un immondezzaio dove smarrire — più che ritrovare — appunti e puntine e puntute matite, quella che hai di fronte a te è la rappresentazione del tuo metodo di lavoro e di conseguenza di te come esemplare umano. Un semiologo avrebbe di che divertirsi a studiare ed interpretare come sistemi le penne, se usi il cellulare come fermacarte, dove infili i biglietti da visita e quanti post-it hai appiccicati allo schermo.

E che dire delle scrivanie d’artista! Là dove conosci già l’homo attraverso le opere, vedere il suo tavolo di lavoro, la fabbrica dove — dopo averle pensate — le produce materialmente sa quasi di morboso. Come non possiamo resistere di fronte alle foto di un incidente mortale o a quelle delle smagliature della velina di turno (non c’è differenza: boxini morbosi docent) allo stesso modo andiamo a spiare con quel leggero brivido del proibito e della rivalità, l’uno direttamente l’altra inversamente proporzionale alla fama dei proprietari, i tavoli di scrittori, pittori, studiosi, proprio mentre noi, al desco per attività ben più prosaiche come il riempire una tabella excel di dati, battere un post su una tastiera o tirare vettori per il logo di una nuova salumeria, sotto sotto soffriamo d’invidia per quei rettangoli di legno, tali e quali ai nostri, dove però viene data quotidiana soddisfazione a quell’urgenza creativa che sembra toccare solo pochi fortunati.

«Lo scopo di queste immagini che andiamo via via pubblicando non è tuttavia quello di rivelare un autore, bensì di leggerlo, d’interpretarlo, di conoscerlo. La scrivania parla di lui con lui. Come scrive Orsini, il ripiano su cui lavora “è quel luogo fisico nel quale l’artista raggiunge il posto astratto dei suoi pensieri”. Sospeso tra astrazione e concretezza, il tavolo appare come un’estroflessione della sua mente, della mente che ha in mente» scrive Marco Belpoliti, critico, saggista nonché co-fondatore di Doppiozero, dove da qualche giorno hanno lanciato la rubrica Tavoli (su twitter #tavolodilavoro). Oltre a mostrarli, i tavoli di personaggi come Tullio Pericoli, Walter Siti, Lea Vergine (questi sono usciti finora) vengono commentati ed analizzati.

Una rubrica che fa il paio con le Stanze degli scrittori esplorate da quello che con Doppiozero e minima&moralia sta ai vertici della mia personale classifica dei siti culturali più interessanti del panorama italiano: Archivio Caltari.

co-fondatore e direttore
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