Sartoria Vico | SS2013

Vistamare. Che è il titolo della collezione.
E ti vedi già affacciata/o dal terrazzino della pensione a guardare, in ordine inverso di banalità e rima: chiappe chiare, uomini pescare, padri e madri piantare (l’ombrellone), pupattoli frignare e leccare (coni sgocciolanti macchiandosi di fragola industriale), i lettori sprofondare (il naso tra le pagine, sbaffi di crema sulle spalle e le ginocchia), gli anziani esibire (le pieghe incartapecorite della pelle, punteggiata di cespuglietti canuti), gli albergatori lamentare (il calo stagionale), gli ambulanti spammare (braccialettini, borse false, occhiali con le lenti di plastica dell’uovo kinder, sadici strumenti di tortura per vicini d’ombrellone), gli hipsters arrivare (in bici, con set di bocce in edizione limitata e birra artigianale), la bellagente ballare (aperitivo al tramonto, stessa spiaggia stesso mare, un centone arrotolare e poi tirare), i palestrati ungere (la pellaccia da arrostire e/o stufare).

E poi ci sono quelli che, chissà come, sembrano starsene qualche spanna più in alto, distaccati dalla folla abbrustolita, dagli schiamazzi, dalle irrimediabili piccole/grandi cafonerie del lungomare. Gente come quel bizzarro signore che un giorno, in un racconto di Rodari, se ne arrivò sulla spiaggia di Ostia e piantò l’ombrellone per aria, sopra alla folla romanescamente urlante, appiccicata come in un formicaio, sbalordita ma non troppo dalla visione surreale del vicino d’ombrellone al piano superiore (Sulla spiaggia di Ostia, da Favole al Telefono, Einaudi).

Ecco, la collezione primavera/estate di Sartoria Vico è sulla stessa lunghezza d’onda: uno stile asciutto, distaccato, fresco, bizzarro-ma-non-troppo, dato da linee pulite e minimali, volumi che sembrano in dialogo costante con l’aria (lassù) tutt’attorno, colori finti-neutri che paradossalmente risaltano più che mai a contrasto con l’ipersaturazione che riempie i panorami visivi estivi (marini ma pure urbani).

Una collezione adatta ad una levitante aliena con la testa tra le nuvole (e la t-shirt bianca in copertina — gonfia e soffice come una rete fatta di marshmallow — una nuvola la ricorda), a metà strada dal cielo e dalla terra, senza immergersi nella normalità né ritirarsi tra le stelle.
«Chissà chi era e chissà dove aveva comprato quell’ombrellone», così si chiude la fiaba di Rodari. Con qualche aggiustamento potrebbe diventare: «Chissà chi era e chissà dove aveva comprato quei vestiti», ma in questo caso la risposta è ovvia: da Sartoria Vico, da anni tra i più interessanti (e un po’ così, un po’ per aria come la donna che amano vestire) marchi indipendenti del panorama italiano.

co-fondatore e direttore
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