Menswear, la moda maschile nei primi del ‘900

Grande classico quando si svuotano i cassetti di una nonna o si va in cerca di tesori in soffitta, è scovare vecchi album o cassettine di latta che custodiscono centinaia di fotografie color seppia o bianco e nero. La prima cosa che salta all’occhio a chiunque – forse perché il confronto con gli hard-disk e le pagine facebook piene di foto assolutamente inutili è inevitabile – è quanto fossero belli, un tempo, non solo i parenti (lì è il cuore che comanda, ne sa qualcosa Barthes) ma chiunque. Prendi la miglior foto che ti hanno scattato o che tu hai scattato a qualcuno negli ultimi vent’anni e mettila a confronto con uno zio X degli anni ’40, o la signora Y, vecchia vicina di casa di cui ti ricordi solo la voce stridula, ragazzina nel ’38 (e c’era pure la guerra…): la sfida è impari. L’anziano o il morto vince con diverse lunghezze di vantaggio.

Il fatto è che quando farsi fotografare o fare foto costava in proporzione molto più di oggi, quando si usava solo la pellicola e non era il caso di stare a sprecarla, quando andare dal fotografo era quasi una festa o posare davanti all’obiettivo dello zio benestante o di un fidanzato che ha sgobbato per settimane per comprarsi una macchina fotografia un’occasione e non la norma, allora era prassi mettersi il vestito della festa, o in mancanza di quello metter su una posa magari studiata e ripassata davanti allo specchio per giorni. E dopo il click c’era la lunga attesa per quel pezzetto di carta e su quel pezzetto di carta la testimonianza che tu (o quello che avevano visto i tuoi occhi) effettivamente c’eri. C’eri stato. In quel momento eri vivo, eri in un posto ben preciso, vestito in modo ben preciso, forse con qualcuno, forse da solo, magari in macchina, affacciato al finestrino, o per strada lungo il viale alberato, o davanti al portone di casa (questa è casa mia, quello sono io, e c’è una foto che lo testimonia), ma c’eri.

Immagina il dramma pre-dagherrotipo. Quanti potevano permettersi un ritratto? A parte un nome in qualche ufficio anagrafe (ora magari andato perduto per sempre, in un faldone divorato dai topi), se andava bene, quando lasciavi questa terra di te non rimaneva che una traccia nella memoria di qualcuno. E quando arrivava pure il suo turno… finita per sempre. Nessuno mai avrebbe potuto vedere il tuo volto, guardare i tuoi occhi, le mani, le scarpe portavi…

Chiudiamo qua il dramma esistenziale e torniamo agli elegantoni del passato.
Tu ed io avremmo forse qualche decina di foto d’epoca ma c’è un certo Tom Phillips, artista inglese ormai in pensione, che ne ha raccolte a migliaia, aprendo i suoi archivi alla Bodleian Library di Oxford, che con i ritratti d’inizio ‘900 ci ha appena fatto un libro, in uscita proprio in questi giorni: Menswear.
112 pagine per 200 foto e visto il recente ritorno al workwear, ai baffoni e alle barbe, all’uomo che fa e che lavora, si tratta di un libro attualissimo, una vera e propria bibbia di stile.
E dubito che i nostri eredi farebbero lo stesso con le immagini di noi trovate in qualche ammuffito angolino della rete.

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co-fondatore e direttore
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