Anorak Tv

È l’una e venti e sono sul divano a guardare lo schermo. Sento Ethel respirare piano prima di entrare nella fase REM, durante la quale partorirà il suo razionalissimo sogno quotidiano da raccontare l’indomani davanti a una tazza di tè, una di latte, qualche fetta del pane di ieri insieme al pacco di fette biscottate, marmellata di castagne per Sveva, miele per me, l’odore del caffè che arriva dalla moka sul fornello. Io i sogni non me li ricordo quasi mai. Quelli di Sveva sono minimali come le sue necessità. «Ho sognato la mamma». Punto. Oppure «Ho sognato il papà» (dipende da chi la mette a letto e le legge un libro). Di tanto in tanto qualche mostro con le gambe lunghe o dalla faccia di farfalla va a spaventarla nel sonno, ma quelle notti lì le riconosci dalle urla che lancia e dalle corse di mamma e papà giù per le scale.

È l’una e venti e la sento parlottare nel sonno, in camera sua, oltre il corridoio illuminato dall’alone azzurrino della luce di compagnia, prima di ricominciare a russare come un motore ingolfato. Dallo schermo un tizio con una camicia impresentabile ed i baffi da hipster mi mostra la sua collezione di pupazzi mentre una musichetta da bad trip accompagna la ballonzolante carrellata sugli scaffali che ospitano il suo multicolore, poliforme, francamente un po’ inquietante tesoro.
Ci sono mostri a quattro occhi; una serie di Masters of the Universe; un Bart Simpson nella posa di chi sta per combinare un casino; un faccione con un occhio penzolante.

Il tizio con la camicia impresentabile, che si chiama Rob Flowers, poi fa ciao ciao con la manina e lascia il posto ad una riccioluta bimbetta pel di carota ed un piccolo orientale con le guanciotte e il naso corto. Il bambino dice parole stupide e l’amichetta ride. In maniera un po’ forzata, a dirla tutta. Dietro di loro una parete interamente riempita di illustrazioni da hipster.
La bimba poi assume un’espressione tutta seria. Arriva una domanda: «cosa ottieni se incroci una pecora con un canguro?» chiede la rossa. L’orientale ci pensa su un attimo poi dice: «una pecora che salta!». Avrei risposto esattamente la stessa cosa di bimbo-guanciotto.

/ risate registrate /

«Un maglione di pecora!» (a wooly jumper…) sentenzia la rossa. E giù ancora…

/ risate registrate /

Primo piano al bimbo-guanciotto. Mi accorgo che ha le occhiaie.
Mi delizia con una serie di doppi sensi che mi mettono una certa voglia di farmi di valeriana ma che d’altra parte scatenano pure ulteriori dimostrazioni d’entusiasmo da quei tipi dal palato facile delle

/ risate registrate /

Primo piano alla rossa. Ha un neo sul lato destro del naso. Gli occhi più vicini di quanto pensassi.
Pure lei si butta sui giochi di parole e pure lei ha i suoi momenti di gloria. Ma la coppia è affiatata, questo devo ammetterlo: chiudono la loro striscia video ridendo come due vecchi amici che se la spassano e se ne fregano di te e dei tuoi stupidi problemi, dall’altra parte dello schermo.

Entrano in scena due omini verdi, seduti su tronchi d’albero bucati, tipo tana di gufo. Da ciascuno dei buchi spunta un paio di occhi. Gli occhi sono un po’ ovunque: in mezzo ad un cespuglio, dietro ad un muro. E c’è pure un misterioso buco per terra.
Uno dei due omini tiene un fagotto appoggiato alla spalla e chiacchiera con un’arancia gigante.

L’altro omino verde, mentre gli occhi dal buco del tronco sembrano guardargli le chiappe, spiega qualcosa ad una papera arancione. Qualunque sia la notizia, la papera sembra perplessa.
Dietro alla papera c’è uno skateboard. Continuo a tenere d’occhio il buco misterioso. Mi aspetto grandi cose da quel buco. Tanto che mi sfugge il fatto che oltre a quello ce n’è pure un altro di buco, dal quale spunta un bruco giallo. O forse è un serpente. Ad ogni modo sorride, non sembra minaccioso. Sono le papere (due pure quelle, come i buchi – che continuo a tenere sotto controllo) a lasciarmi una brutta sensazione sulla bocca dello stomaco. Il sottile tremolio addominale dell’ansia.

La seconda papera è in piedi sopra al muro con il tizio (immagino, vedo solo gli occhi) nascosto dietro. Una mela verde parla con qualcuno. Non si capisce se con gli occhi dietro al muro o con la papera che, come l’amica, ha lo sguardo ambiguo e l’aria interrogativa. Che fa il buco nero? Sta sempre lì. Ma non lo perdo d’occhio.

Quasi mi piglia un infarto!
All’improvviso il bruco/serpente sparisce dal suo buco ed appare nell’altro. Non toglie gli occhi di dosso dall’omino verde che parla con la papera.
Il bruco/serpente è un buontempone. Lo perdi di vista per un secondo ed eccolo che spunta fuori da dietro all’arancia. Poi dal tronco. Dalla mela. Chi lo ferma più? Non certo le papere.
Ma poi scompare! Te lo giuro! All’improvviso. E tutti iniziano a guardare me: gli omini, la mela, l’arancia, il cespuglio, il tizio dietro al muro e due occhi dai buchi dei tronchi. Pure le papere. E un brivido dell’ansia si sposta dalla bocca dello stomaco e sale su per la schiena.

Perdo la concentrazione e mi ritrovo davanti un bulletto di nome Malarky. Ha la testa infilata fino agli orecchi in un berretto di lana scuro che si abbina alla giacca impermeabile che porta. In mano ha una rivista.
Malarky cammina per le strade piene di graffiti di East London. Quando si gira a guardare l’obiettivo sembra meno bulletto. Ma mi fa cenno di seguirlo e poi scappa via.
Lo ritrovo davanti a un tavolo. È al chiuso e si è tolto giaca e berretto. Ha una maglia rossa e nera, a righe orizzontali. Seduto al tavolo, inquadrato di spalle, c’è un tizio in camicia a scacchi. Pure lui ha un cappello. E continua a tenerlo in testa. Non gliene può fregar di meno se Malarky il suo se l’è tolto. Nel suo studio l’uomo in camicia a scacchi fa quel che vuole. Sacrosanto.

Il tavolo è pieno di colori, scatolette, pennelli, pennarelli e matite. Davanti all’illustrazione di una volpe vestita come lo stereotipo di un rapinatore c’è un foglio bianco. Anzi due fogli bianchi. Spero che ora a nessuno venga la malsana idea di disegnarci sopra un buco e un verme/serpente…

Malarky si siede. Il tizio della camicia a scacchi inizia a disegnare. Malarky gli va dietro. Camicia a scacchi sta cercando di insegnare a Malarky come disegnare la volpe con un Uniposca. Malarky sembra volenteroso ma gli esce fuori una volpe dal muso troppo allungato verso il basso, sembra abbia il mento gonfio come quello di un malato di tiroide. Vorrei vedere la faccia di camicia a scacchi quando guarda l’obrobrio che ha disegnato Malarky ma purtroppo lo inquadrano sempre da dietro.

Con gli occhi e il resto Malarky se la cava bene solo che al momento di disegnare le gambe alla volpe sul foglio di Malarky non c’è praticamente più spazio. Quel mento enorme riempie il foglio, cazzo.
Arriva il momento di mettere le firme. Scopro che Malarky in realtà non è il bambino ex-bulletto ma il tizio in camicia a scacchi, che non si lascia inquadrare nemmeno per un secondo dalla telecamera perché in realtà non è un insegnante di illustrazioni di volpi di East London ma un famoso street-artist, che ora mostra al ragazzino la sua collezione di bombolette spray poi lo porta in strada e lo inizia al vandalismo. Ragazzino senza nome ex-bulletto diventato di nuovo bulletto ci prende gusto e con lo spray verde rovina per sempre l’obiettivo della videocamera.

Cambio di scena. Arriva un hipster che sembra un incrocio tra Wayne Coyne ed Harvey Keitel. Gli viene ordinato di disegnare una giraffa che indossa un bikini mentre cavalca un cavallo e mangia una carota (dalla sintassi del bigliettino che illustra a Wayne Keitel il da farsi non è chiaro se è la giraffa che deve mangiarsi la carota oppure il cavallo).
Harvey Coyne si prende la libertà di dare la carota alla giraffa, che indossa pure un paio di scarpe. Come il cavallo, che però ne ha due paia.
Qui siamo in pieno paradosso Pippo/Pluto! Perché la giraffa ha due gambe e due braccia mentre il cavallo semplicemente quattro zampe? E perché l’incrocio tra Wayne Coyne ed Harvey Keitel ha disegnato pure due alberi e degli uccellini che volano in cielo, se nessuno gliel’ha ordinato?

Ad ogni modo il caro Harvey Wayne Keitel Coyne fa segno che ok, va tutto bene e lascia il posto ai faccini illustrati di un mucchio di bimbi multietnici. C’è il bimbo giallo, la bimba marrone, il bimbo azzurro. E ce n’è pure uno pelato.

Decido di finirla qui. Sullo schermo sono passati neanche otto minuti. Sull’altro schermo ne sono passati almeno trenta, spesi a scrivere questo (nenache minimamente) professionale reportage sulla mia prima volta davanti ad Anorak Tv, app video – lanciata appena qualche giorno fa – per iPad e iPhone di quello che è tra i migliori magazines al mondo dedicato ai bimbi, Anorak appunto.
Non una vera tv in streaming ma circa 15 minuti di contenuti – con nuovi filmati in arrivo – pensati certamente non per il sottoscritto ma che ai tuoi pargoli, seppure in inglese (loro hanno quel modo tutto particolare di afferrare le cose e non stanno certo a badare alla lingua), piacerà.

http://www.youtube.com/watch?v=bhfDAHxdQnc

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