Gli anni dei Roy Roger’s come jeans (dal 1949 alla FW2012/13)

Siamo nel ’49. L’Italia, dopo la guerra, è in fase di ricostruzione. Con i soldi che arrivano dagli Stati Uniti grazie al piano Marshall si costruiscono case, si finanziano aziende, si pagano mazzette, si cerca di tener fuori “i comunisti” dal Paese e si inizia a buttare le basi per uno sperpero che da allora è una “felice” costante italiana.
Tra le macerie sociali ed economiche, per emergere non servono master in marketing e comunicazione: basta la buona volontà, rimboccarsi le maniche, un po’ di intuito e poi non resta che sperare che la sfortuna non ci metta lo zampino.

Siamo nel ’49 e a Campi Bisenzio, cittadina poco fuori Firenze, i fratelli Bacci aprono una manifattura specializzata in capi da lavoro. Si fossero buttati su altro settore oggi probabilmente non avremmo più sentito parlare di loro. Perché è proprio per merito degli abiti da lavoro che i fratelli Bacci scoprirono il Denim, proveniente dagli Stati Uniti.

La Manifatture 7 Bell – questo il nome che hanno dato all’azienda, ma non chiedetemi il significato delle sette campane – inizia così a produrre il primo jeans italiano, aprendo una nuova frontiera nel mercato degli abiti da lavoro prima, della moda in generale poi.
Dopo un viaggio in Carolina del Nord i Bacci iniziano ad importare il denim direttamente dalla Cone Mills Corporation, all’epoca il più grande produttore al mondo di questo tipo di tessuto.

I Roy Roger’s dell’epoca erano molto diversi da quelli di oggi.
Le tecniche di lavorazione erano ancora primitive ed i jeans erano praticamente delle croste che si ammorbidivano solo indossandoli e soprattutto lavandoli (i lavaggi, oggi, sono alla base della produzione di tutti i marchi di jeans).

Da allora i Roy Roger’s hanno attraversato la storia del made in Italy (e la storia in generale) passando con alterne fortune attraverso i decenni. Tra fine anni ’60 e i primi ’70 mentre indossare jeans diventa quasi automaticamente sinonimo di contestazione giovanile, insieme a tutti i marchi importati dagli USA i Roy Roger’s sono tra i pochissimi made in Italy.
Gli anni ’80 invece li raccontano i neo-rivalutati (dagli hipster) 883:

Gli anni d’oro del grande Real
gli anni di Happy days e di Ralph Malph
gli anni delle immense compagnie
gli anni in motorino sempre in due
gli anni di che belli erano i film
gli anni dei Roy Roger’s come jeans

Dopo un periodo di riorganizzazione oggi l’azienda è in mano ai fratelli Biondi – nipoti di uno dei due fondatori – che da qualche anno hanno rilanciato il marchio con collezioni che puntano sulla re-interpretazione in chiave contemporanea della storia aziendale, con la linea Rugged, che si ispira ai capi americani anni ’40 e ’50 provenienti dall’archivio aziendale, linea che ha come capo di punta un jeans che attraverso apposite lavorazioni riproduce esattamente il livello di usura dei pantaloni che gli operai impegnati nella costruzione della nuova sede aziendale, lo scorso anno, hanno indossato ogni giorno per sei mesi.

Roy Roger's FW2012/13

Alla Rugged si aggiunge la nuova linea Natural Garment Dyed che – come si intuisce dal nome – usa solo tinture naturali (l’azienda, che mi ha inviato una cartella stampa proporzionata alla lunga storia del marchio, dichiara di aver usato, tra le altre cose, mirtillo, clorofilla e curry).

I capi Roy Roger’s, made in Italy da cima a fondo, li trovi nel flagship-store di C.so Porta Ticinese a Milano, nello store fiorentino di prossima apertura in via Calimala e nei negozi multi-marca di tutta Italia.
Per informazioni e novità c’è la

co-fondatore e direttore
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  1. Bella storia….ma più che bella comune a quella di tante aziende italiane partite in quegli anni….come marchio segnarono un epoca…per lo meno la mia :)))…a Pitti uomo quest'anno si sono presentati con uno stand MOLTO ma MOLTO particolare che riportava (conoscendone la storia) alle origini….

  2. Ricordo quando con mio padre nel 1974 o all'incirca ci si alzava alle 4 e con il mitico fiat 238 si andava nella zona del Varesotto a prendere i rotoli che poi a Padova si sarebbero confezionati…questo di Venerdì…il "viaggio durava esattamente 16 ore compresa al tappa in trattoria sempre al solito posto….perchè "là facevano dei piatti abbondanti di spaghetti"…il venerdì seguente si ritornava "sù" con il furgone carico di capi confezionati e questo dutò fino all'inizio degli anni ottanta…poi venne acquistato il fiat 241 con carrozzeria Pasino (un vero e proprio esempio di insulto all'aereodinamicità di un mezzo…..ahahah) …all'inizio degli anni novanta questo modo di vivere si interruppe bruscamente …l'est era oramai alle porte…ma questa è un altra storia….

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