Se la maggior parte della popolazione non può godere dei magnifici intrecci sensoriali che la sinestesia (che è un po’ malattia e un po’ superpotere) regala a chi ne è portatore – e ascolta i colori o vede la musica o tocca i sapori – dovendo invece accontentarsi delle ben più piatte contaminazioni tra i sensi dell’omonima figura retorica (apri una qualsiasi rivista o un romanzo a caso e ne troverai qualche esempio, tipo una band conosciuta per il suo sound aspro o il ruvido odore del caffè bruciato al mattino; a tal proposito, ecco un consiglio per chi volesse far tacere un critico eno-gastronomico troppo pieno di sé: sfidarlo a descrivere un piatto o un vino senza usare sinestesie) basta però un qualsiasi screen-saver che interagisce con la musica per trovarsi di fronte a frastagliati e colorati paesaggi sonori. Basta un algoritmo e la musica diventa immagine (o viceversa: di software che “suonano” le tue foto ce n’è a bizzeffe).
Toccarla, la musica, è però tutt’altro paio di mani(che). I bravi artisti riescono quasi a fartelo provare ma se ti sfreghi i polpastrelli, seppur perso nella trance del momento, al massimo trovi solo altri quattro polpastrelli.
Gli sperimentatori visivo-sonor-architettonici messicani di Realitat, però, hanno pensato di tradurre davvero la musica in materia, grazie ad un apposito algoritmo che permette di creare modelli 3D delle tracce sonore di un disco e, a partire dai modelli, realizzare poi delle vere e proprie sculture sonore circolari.
I cinque esemplari di Microsonic Landscapes partono da altrettanti dischi, diversissimi tra loro: dall’abisso minimalista di Arvo Pärt ai grattacieli della metropoli trip-hop dei Portishead, dagli appassionati ma regolari strati di malinconia di Antony & the Johnsons alla cupa foresta sonora di Nick Drake, fino al selvaggio picco tolkeniano degli Einstürzende Neubauten.









