The book is on the table | I miracoli di Val Morel

I miracoli di Val Morel
di Dino Buzzati
Mondadori 2012

Dalle mie parti, a girar per “figurette” – così chiamiamo le cappellette, le “maestà” ai bordi delle strade e dei sentieri di campagna – ti fai venire il capogiro, innanzitutto perché quando il fiato manca, se sei fuori allenamento, ad andar su e giù per colli tappezzati di colori (di questi tempi il verde tenero comincia a scacciare il bruno della terra, prima di lasciare il posto al verdone che s’accompagna all’oro, in una messinscena di un paesaggio rinascimentale che tra castelli, fossi ed imbrecciate lingue bianche sarebbe pure verosimile, non fosse per le auto di passaggio, proprio dietro alla tua curva, annunciate dagli uccelli che cinguettano via, sconfinando le linee immaginarie delle contrade o tornando a nidi che a due tiri di schioppo – non sia mai, poveri pennuti, si fa per dire – hanno già dialetto e podestà sindaco diversi, o quelle che sul colle opposto, scorron via in silenzio sopra il crinale come macchinine in miniatura, che ti pare di vederla – scherzi delle nuvole – la mano del bambino che le muove) poi ad ogni bivio sostar per un minuto a rabboccare d’aria fresca i polmoni grigi da emigrato verso i miraggi del terziario, davanti a legnose madonnine intagliate a immagine e somiglianza della fatica, o affreschi di santi dipinti da mano contadina, mangiati dal tempo e trasfigurati da sembrar vivi nelle sfarfallanti illusioni ottiche proiettate dalle fiammelle di quei ceri, che chissà chi torna a cambiare, ché di figurette buie se ne vedon mai, neppure nelle notti senza luna e troppi bicchieri da smaltire a piedi, ascoltando solo l’interrogativo chiù del pascoliano assiuolo, che i vecchi chiaman solo chiù e tanto basti, o il grido rauco del barbagianni, fantasma in volo sopra ad un lumino, che da lontano emerge dall’abisso cenere, il panorama incerto poi sfumando verso il nero, quel puntino arancio stropicciandoti i pensieri nella sua impari sfida celeste a Marte, Antares e Betelgeuse, nell’ora in cui si aprono le porte del sapere antico e storie arrivate a orecchio da troppe bocche, come tappe di un cammino che parte da un racconto semplice e voce dopo voce ne strappa via ogni senso restituendone a ciascun prossimo mittente parabole che puzzan di miracolo, attaccate alla realtà dei fatti con solo pochi lembi di discorso, da disseppelire sotto a montagne di simboli e superstizioni, inquadrandole né più né meno come microstorie post-moderne, dove l’alto dei cieli incontra le bassezze e le carni dell’umano, dove vero, verosimile e fittizio si scambiano di posto come nelle tre carte dei truffatori da fiera, o meglio ancora come ne I miracoli di Val Morel, ultimo capolavoro di Buzzati (mai veramente) perduto e ritrovato a trent’anni dalla morte del grande cronista, scrittore, artista bellunese e a trentuno dalla prima edizione: un catalogo illustrato di miracoli fantastici attribuiti a Santa Rita, potentissima dispensatrice di grazie e salvatrice di stolti, nobildonne e fanciulle (non così) inermi, giustiziera di diavoletti subdoli, schiere di marziani, formiconi sessuomani e gatti fuori scala o eruttati dal vulcano, dipinti nell’Anno Domini 1970 per una personale veneziana e raccolti in un volume introdotto dall’amico Montanelli.

Ma se della genesi dell’opera e del “da dove viene” puoi leggere tra le preziose pre- e postfazione, è il “dove va” o meglio il “dove è andato” che a me interessa.
A sfogliar le pagine t’accorgi che il famigerato pop surrealism in fondo è Buzzati ad esserselo inventato, mescolando con sapienza il basso del naïf e il suo alto contraltare, l’arte sacra, contaminandoli col pop che già dell’alto e basso professava la promiscua unione e una tavola come questa qua

ti strappa lo stesso ghigno sgangherato dei fumetti del Dr.Pira mentre le didascalie (che da sole varrebbero l’acquisto del volume e paion prese a modello per il sensazionalismo nero/rosso/giallo del magazine degli ultimi per eccellenza, Cronaca Vera, che proprio in quegli anni affonda le radici) non stonerebbero in una timeline di twitter, dispensate da un misterioso D.Buzzati virtualmente redivivo che in due righe riesce a ribaltarti sulla sedia e portarti con lo spirito (e con spirito) sulla strada buia a sospirar senza fiato, pellegrinando nel tempo e nello spazio dietro alle “figurette” delle terre tue, in quel rassicurante brodo di reale ed inventato che t’hanno dato da mangiare fin da piccolo, succhiando rumorosamente, madri, nonne e ubriaconi del paese.

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