A pranzo stai da solo. A pranzo stai in ufficio e mangi l’insalatina scondita davanti ad un pagina excel vuota. A pranzo vai al bar di sotto e parli con le amiche di come spenderesti l’ipotetica vittoria milionaria al superenalotto o con gli amici usi parole di cui neanche tu sai il significato mentre guardi i culi delle amiche di cui prima quando si alzano dal tavolo accanto. A pranzo vai a casa dei tuoi perché provi un brivido speciale quando riveli al mondo che sei uno sfigato usando parole come tempo, praticità, comodità. A pranzo non pranzi e semplicemente corri di qua e di là tra mille impegni che vai a cercarti proprio per non far pausa e rilassarti al punto tale da sentire la fastidiosa e spaventosa voce dei tuoi pensieri, che di solito copri con milioni di chiacchiere inutili ed una religiosa, perenne, nevrotica fretta.
Oppure: a pranzo con uno sconosciuto. Che non è il titolo di un foodie-horror a base di rapimenti, sevizie e torture con crème fraîche o tartare di fassone piemontese ma quello che offre Let’s Lunch: pausa pranzo con uno sconosciuto, appunto, ma interessante.
E soprattutto un’opportunità per allacciare contatti professionali utili senza dover stringere mani solo virtualmente come su LinkedIn o sperare in uno straccio di follow reciproco su Twitter o, ancora, mandare decine di richieste d’amicizia su Facebook a piccole-grandi celebrities del proprio settore sperando che poi una valanga di mi piace possa aprire strade social-professionali altrimenti bloccate dalla neve.
Il meccanismo è semplice.
Te lo dico da early adopter introdotto a Let’s Lunch dal fondatore della versione italiana (l’unica, per ora, insieme all’originale statunitense creato da Syed Shuttari, giovanissimo nerd della Bay Area di San Francisco: il posto al mondo dove hai più probabilità di incontrare il ceo poco più che ventenne di una startup legata al web), Daniela Bianca, amico del sottoscritto e dotato di un’incrollabile pazienza nell’aspettare che questo concentrato di curiosa pigrizia si decidesse poi ad utilizzarlo per poterne parlare sul suo fantastilioso magazine online.
Ed eccomi qua.
Ho provato, ho collegato il mio profilo ai suddetti LinkedIn, Twitter, Facebook, ho selezionato sulla mappa un paio di aree (Bologna, dove vivo, e Milano dove vado di tanto in tanto) ovvero il mio raggio d’azione da pausa pranzo, messo la disponibilità sulle date in cui me la sento di alzare il culo dalla sedia ed andare a mangiare fuori con qualcuno, inserito le categorie che mi rappresentano in quanto a lavoro ed interessi, andato infine alla ricerca di altri Let’s Lunchers da seguire.
Il resto lo fa il programma, incrociando disponibilità ed aree d’azione ed avvertendoti nel caso qualcuno di tuo interesse fosse disponibile nello stesso giorno e nella stessa zona.
Una volta accettato si sceglie il posto. Ce n’è una lista ma puoi anche proporre di andare da qualche altra parte, pure a casa tua se l’altro si fida e non gli viene in mente il foodie-horror di cui sopra. Poi ci pensa Let’s Lunch, da mamma premurosa, a ricordarti l’appuntamento all’avvicinarsi del giorno.
Prima prova: dieci e lode. Anche perché mi è andata davvero bene con il commensale, pure mio omonimo. Breve ma grandiosa esperienza.
Dopo il primo pranzo, una volta “sbloccato”, ti vedrai aggiungere giorni disponibili come se piovessero, cercando di ritagliarti quella preziosa ora da dedicare ad uno sconosciuto da googlare con ansia prima del giorno X.
Difetti di gioventù: il sito ha un’interfaccia ancora non troppo accattivante ed un’usabilità da migliorare ma so che sta per essere aggiornato (ho visto in anteprima il restyling) ed arriverà pure la fatidica app mobile.
Questo è quanto. I termini 2.0 li ho usati praticamente tutti: ceo, startup, early adopter, follow…
Ah, si paga alla romana!