Ogni giovane sapientino della mia generazione – uno con velleità da uomo di mondo e conoscenze praticamente illimitate in ogni campo dello scibile umano (e “paperaceo”), uno che sa cavarsela in ogni situazione (ma non come un McGyver qualsiasi: qua si parla anche di nozioni di filosofie orientali, automobilismo, nazionali di calcio, fonts! ) ed ha sempre un “forse non sapevate che…” nella manica del grembiule – da ragazzino pensava di aver bisogno di appena tre cose, nella vita: un coltellino svizzero, una casa sull’albero e il Manuale delle Giovani Marmotte.
Se il primo arrivò solo qualche anno più tardi e la seconda sarebbe rimasta per sempre un sogno irrealizzato (avevo il giardino, avevo l’albero ma non c’erano ancora i manuali Ikea e mio padre non era di certo un campione nei lavori manuali) un’intera collezione di Manuali delle Giovane Marmotte mi arrivò in consegna da mia zia.
Esemplari d’epoca: 1969, 1977, 1979, 1980.
Ed ora che mi ritrovo a sfogliarli la sera con mia figlia, con lei che guarda i paperi e chiede di continuo “cos’è?”, “che fa questo?”, “ma perché?” ed io che mi perdo in lunghi flash-back tra le mille tabelle e le infografiche che a riprenderne oggi l’estetica potresti farci un concept-magazine operazione-nostalgia di quelli che non si dimenticano, mi rendo conto di quanto io sia un prodotto di quei manuali.
L’ossessione per la catalogazione di qualsiasi cosa, la passione per le mappe stellari, l’attrazione tipo falena/lampadina per gli schemi e le legende, lo struggimento (vista l’ereditata incapacità manuale) da vorrei-ma-non-posso di fronte a meravigliosi progetti DIY. E ancora: gli aerei e le loro code colorate, i segnali stradali, le sigle, le impronte degli animali, trovare il nord con un fiammifero ed un orologio da taschino, centinaia di consigli della nonna mai utilizzati ma vuoi mettere saperli…, le targhe di ogni paese, quanti chili di crusca mangia un elefante allo zoo, le quattro stelle del Generale di Corpo Armata, perché in campagna le distanze sembrano più brevi, come si dice guanciale in tedesco (kopfkissen, e stai lì a fantasticare su quel -kissen che assomiglia al bacio inglese).
E in tutto il tripudio di nozioni che avrebbero irrimediabilmente fatto di me un puntiglioso, ossessivo rompipalle, tra gli spessi strati di infarinature su ogni cosa, tra i mille, concreti paletti che ogni pagina di Manuale piantava nella mia testa, rimaneva sempre la via di fuga, il sentiero per uscire dal pensiero mappato, schematizzato, ridotto a legenda.
La magia, per me, era tutto quel che stava fuori dal Manuale delle Giovani Marmotte. Ed era un sacco, bello grande, di roba.
Poi qualcuno ebbe la fantastica idea di mandarmi a fare gli Scout e lo scontro con la dura realtà fu enorme (e l’abbandono repentino).
Che Qui, Quo, Qua, loro mica pregavano mai…