O, ancora, su come le fashion bloggers di casa nostra dovrebbero lasciar perdere specchi, autoscatti o fidanzati con velleità da manager e mettersi a scrivere con ironia (dopo aver imparato a scrivere in generale).
Comunque la pensi su Tavi – quella sorta di Anna Wintour in miniatura che mentre le coetanee s’imbellettavano con trucchi improbabili ed imparavano a gestire incontrollabili pruriti ormonali apriva un suo blog, dimostrava al mondo di saper scrivere meglio di fior di redattori professionisti e finiva sul New York Times e, da lì, un po’ dappertutto, masticata dal sistema ed esibita in prima fila alle sfilate: apparentemente la ricetta per un deprimente futuro da tossica e reietta ex-baby-celebrità; apparentemente, appunto, perché intanto lei preparava il piano B, l’atterraggio morbido, evitando di rinchiudersi in un attico dorato ma, anzi, mettendo su un confortevole pied-à-terre tagliato (anche anagraficamente) su misura per lei, addobbandolo come la cameretta dell’adolescente che dopotutto è ed incarnando l’alternativa a se stessa.
Comunque la pensi su Tavi, dicevo – ed io ero uno di quelli da una parte affascinati e dall’altra preoccupati – bisogna darle atto di esser riuscita con il suo nuovo progetto online Rookie Mag, realizzato insieme ad una redazione giovanissima e tutta al femminile (tranne un Joe ed uno Spencer), a creare una realtà editoriale che profuma/puzza di vero, di ormoni e scritte sul diario, di poster appesi al muro e magica alchimia di gruppo, di gente che si diverte, di anni ’90 e riot grrrls (evocate con sedute spiritiche): un buon prodotto, insomma, lontano dalle artificiosità che maliziosamente ti saresti potuto immaginare, riuscendo al contempo ad arrivare al suo target – le adolescenti – con più efficacia di quanto riusciranno mai a fare stormi di attempate bloggers che scrivono ggiovane (risultando invece solo patetiche), arrivando pure a far scucire ai critici parole come “femminismo” (vedi articolo del Post) che sicuramente mal si abbinerebbero a tantissime realtà nostrane che da iniziale fenomeno di costume hanno raggiunto con pochi meriti – almeno contenutistici – e un’attenzione morbosa da parte della stampa, un seguito che – non vivessimo negli anni bui del maschio alfa e della donna-oggetto dell’era Berlusconi – sarebbero incredibili.