Gianni Serra toglie le forme… a suon di forme, giocando di sovrapposizioni e di sottrazioni in una collezione rigorosa, quasi austera, che infatti ricorda da vicino le uniformi femminili dell’epoca maoista, quando la taglia era un optional (sia mai che i negozi mandassero indietro dei capi alle aziende, un tempo private, poi statalizzate in blocco dal Grande Timoniere) e la fantasia, in fatto di costume, potevi esercitarla solo negli strati inferiori, quelli invisibili, da esibire in privato, a casa o negli spogliatoi, prima di metterti al lavoro.
Un’austerità – ma solo di superficie – che ben rappresenta la leggera compostezza di Serra, che punta sui materiali – felpa, twill di cotone secco, viscosa, tela di puro lino, mussola e tulle di cotone – per continuare il suo dialogo con un concetto di made in Italy che sa d’altri (bei) tempi.