The book is on the table | Nove anoressiche

Nove anoressiche
di Ugo Coppari
Morlacchi 2007 | amazon

Un libro che mi è precipitato addosso. Letteralmente: è proprio caduto dalla libreria ieri mattina mentre spolveravo, chiedendo a gran voce di parlare di lui.
Non c’è stato nemmeno bisogno di leggerlo di nuovo per ricordarmi tutto perché la parola chiave della magra (70 pagine) raccolta di anoressici racconti di Ugo Coppari – che qui si firma soltanto UGO – è la familiarità.

Nove anoressiche si muove nella geografia dei ricordi. I miei. Evocando le domeniche al mare dell’adolescenza e lo strisciare ondulato della superfice dell’acqua, i grilli e l’odore di pasta fresca nel vento che muove le foglie, l’inconfondibile e terragna inflessione delle voci che smuove sentimenti a cui non sapevo e non so dare un nome.
Lo stesso effetto che, passando per altre strade, stili e linguaggi, mi fanno le foto di Milo Montelli. Non è ovviamente un caso che entrambi, Milo ed Ugo – insieme al sottoscritto che si trova a parlarne – condividano non soltanto la suddetta geografia dei ricordi ma anche il suo centro esatto, Jesi, da dove ciascuno di noi ha iniziato a disegnare, più o meno negli stessi anni (io sono del ’79, loro dell’82), la propria mappa esperienziale.
E io, unico del terzetto a non saperla raccontare, mi affido a Milo per evocarla e ad Ugo, che come un precisissimo cartografo ti sbatte sotto agl’occhi la topografia dell’età stupida e spensierata raccontando storie minime di quotidiana meraviglia che, seppur strette nella loro claustrofobia, si aprono su spazi interiori che conosci a menadito e che condividi con i personaggi del libro, mappati anch’essi prendendo come coordinate l’inizio e la fine di ciascuna storia.

Come ti insegnano a scuola, per due punti passa una e una sola retta e le storie anoressiche si sviluppano così, rette che passano per due punti dove però all’interno, per quell’attimo che impieghi a leggerle, svaniscono nella generale inazione dei protagonisti che, come sottolinea nella prefazione Leeza Hooper – artista ed amico di Ugo Coppari, con il quale ha condiviso il progetto artistico P-Gruppe (non so se esiste ancora dato che il sito non è più attivo) – sono inutili perché non si prestano a niente; iniziano e finiscono nello stesso punto, sono opachi, e pure se hanno a che fare con l’azione alla fine tutto quanto s’azzera e tornano a dormire, da dove erano venuti.

Le vere storie, quindi, non stanno nelle pagine del libro – che a logica nemmeno esistono davvero, coincidendo i punti di inizio e di fine – ma fuori, nel prima e nel dopo.
Esattamente come la tua: non a caso i racconti sono dieci e non nove come suggerisce l’azzeccatissimo titolo che, come avrai capito, non si riferisce a ragazzine con problemi di peso ma allo stile di scrittura dell’autore.

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