iPad e la seconda vita delle webzines

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Quando mi chiedono com’è cominciata l’avventura di Frizzifrizzi mi piace ricordare di come in realtà la mia stessa “carriera”, se tale si può definire, sia iniziata proprio con i magazine in pdf che anni fa, in rete, spopolavano.
Prima del boom dei blog, se avevi ambizioni artistiche o volevi giocare a fare il publisher, l’editore, c’erano le webzines: fotografi, illustratori, critici, scrittori in erba, tutti mandavano in lungo e in largo i loro lavori sperando che qualcuno li pubblicasse, per poi collezionare montagne di collaborazioni ed inserirle nel curriculum il minuto dopo, per “fare mucchio”, per avere qualcosa da dare in pasto ai magazines e agli editori veri che poi, magari, incrociamo le dita, chissà…

Anche io, da fotografo (anzi, da uno che si spacciava come tale*) con relativo mucchio di collaborazioni webzinare, in preda all’entusiasmo, mi sono buttato nel mondo del publishing e, InDesign alla mano, ho creato insieme ad Ethel Freshcut Magazine, rivista in pdf dedicata ai giovani talenti sotto i 21 anni (chissà poi perché), uscita in tre numeri – che a pensarci ora rabbrividisco per l’assoluta incoscienza e per le notti perse ad aggiustare margini e ripensare il layout.
Poi pian piano l’entusiasmo svanì: il mio e quello di molti altri che, uno dopo l’altro, abbandonarono il pdf da sfogliare su schermo a beneficio di piattaforme molto più funzionali per costruire, alimentare e consumare quell’urgenza giovanile, quel “ci sono anch’io”, che aveva dato vita alle prime webzines.
I blog, propag(and)atori per definizione di quell’urgenza, iniziarono a spopolare. E da allora, nonostante nuovi progetti pdf-centrici che hanno continuato a nascere (alcuni anche a crescere, altri “morti” dopo pochi numeri), il fenomeno non è mai del tutto esploso soprattutto per l’ovvia scomodità – il cosiddetto fattore “cesso” – di leggere una rivista su un computer, anche portatile.

Questo, fino all’iPad.
Perché se di leggere libri su quella tavoletta per ora dico “passo”, per fumetti, quotidiani e riviste invece è il paradiso. Più o meno.
Perché se moltissimi editori hanno pensato bene di proporre le proprie riviste come applicazioni da scaricare, con magazines letteralmente animati, pieni di video, suoni, parti interattive, è anche vero che tali applicazioni sono pesantissime e se ogni volta devi aspettare il tempo dell’acqua per la pasta che bolle per vederti, chessò, Wired o Velvet (Velvet però provalo perché è davvero fantastica, e gratuita), o peggio ancora scaricartela sul treno, sotto copertura 3G, arrivando a destinazione prima di sfogliare la prima pagina, allora anche in questo caso “passo”.

Quindi?
Quindi rispolveriamo i pdf. Lunga vita ai pdf e alle webzines, che sembrano nate per il piatto marchingegno della Apple e che grazie ad esso vivranno una seconda giovinezza.
Dove andarle a pescare?
Pdf-mags, che è stato per un po’ una sorta di atlante del pdfenomeno, lo aggiornano ad ogni morte di Papa però è un bel punto di partenza perché diverse delle riviste elencate pubblicano ancora nuovi numeri.
Per quotidiani e riviste che escono in edicola, come puoi immaginare, meglio non sapere (leggi: non posso dire) come si fa a trovarle e scaricarle. Fortunatamente qualcuno (come Pig) inizia a mettere a disposizione una copia del magazine direttamente sul sito.
Per il resto basterà aspettare la seconda, grande ondata di webzines, da sfogliare, come gran signori, sulla tazza del cesso. Cic e ciac.

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* ho conosciuto le webzines in pdf grazie alla mia compagna Ethel, che a sua volta ho conosciuto grazie ad una molto poco educata coppia di amici che 9 anni fa mi abbandonarono in un centro sociale bolognese (all’epoca ero letteralmente scappato da Bologna, dove (non) studiavo cinema, per tornare tra le colline marchigiane a fare il servizio civile attorniato dai bambini di una scuola materna e quello era il mio primo ritorno in città dopo settimane) perché, nonostante mi avessero offerto ospitalità per la notte, pensarono bene di mettersi a litigare e di andarsene urlandosi contro l’un l’altra, lasciandomi lì brillo e con la valigia in mano. Ethel la conobbi in quel momento e dopo qualcosa come ore di chiacchierate nonsense, alle cinque del mattino, circondati da bicchieri sporchi, zombie strafatti, bamboline colorate (quelle erano mie) e chiazze di vomito, capimmo che eravamo fatti l’uno per l’altra. Mi portò a casa sua e (non) dormii lì.
Io, come nei film americani, scoprii carte che nemmeno lontanamente avevo in mano, facendole credere di essere ben più interessante di quel che ero in realtà, ovvero uscito da poco da una lunga depressione e da mesi di astinenza alcoolica dopo aver capito che qualche problemino con vino e anice secco dovevo pur averlo se tornavo a casa ogni sera ubriaco.
Mi presentai come futuro fotografo di successo, scrittore di racconti sperimentali, videomaker alle prime armi, al momento impegnatissimo a ritrovar me stesso grazie ai bambini con cui avevo la fortuna di lavorare.
Troppa carne al fuoco, ma ormai era troppo tardi, quindi quando iniziammo a frequentarci più regolarmente, dopo averle fatto leggere i suddetti, ridicoli racconti, dopo averle descritto (come avrei voluto che fossero) i miei corti, arrivò il momento della fotografia, che avevo effettivamente studiato ma alla quale all’epoca mi ero appena avvicinato a livello pratico con la vecchia Nikon di mio padre.
Quindi mi misi all’opera, anche grazie ad una scassatissima digitale che sempre mio padre vinse con i punti della benzina…

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