1999 | Troppolitani

Rivedere una videocassetta dove avevi registrato qualcosa dalla tv diventa sempre una sorta di macchina del tempo: le pubblicità, i ritmi, i volti, i loghi dei canali, i flash dei tg con scenari che poi sai come sono andati a finire…
Qualche giorno fa ho rispolverato il mio vecchio vhs – ognuno ha i passatempi che si merita, il mio è riordinare gli stanzini e cambiare la disposizione al ciarpame – e provato ad inserire qualche cassetta. In una di esse c’erano un paio di puntate di Troppolitani, uno dei programmi più geniali e divertenti apparsi sul piccolo schermo (di notte e su RaiTre) proprio alla fine della scorsa era-tv.
Ovvero prima che i tg adottassero la formula cronaca+spettacolo, prima dell’invasione dei reality e di gente senza meriti che passa la vita ad entrarne e uscirne sperando nell’ennesimo riciclaggio, prima che l’opinionista diventasse un mestiere e le lacrime in diretta un metro per stimare la raccolta pubblicitaria (insieme al loro opposto: le risate facili di Zelig ed i suoi cloni), prima dell’autocensura preventiva, delle “notti brave” e fintamente anti-moraliste di Lucignolo, prima che tutte le pubblicità diventassero insopportabilmente rumorose. In pratica, prima che la tv decidesse di autodistruggersi lanciando inconfondibili e ben percettibili segnali di invito a spegnerla per sopraggiunta catastrofe per rifugiarti in film e serie-tv da guardare sullo schermo del computer.

All’epoca c’era ancora qualcuno tanto ardito da mandare in onda (di notte, d’accordo, e su RaiTre, ma stiamo parlando di Rai, di Italia, di era-Berlusconi) un programma che faceva ridere e riflettere allo stesso tempo (ricordi? Una volta si poteva farlo anche in tv e non solo al cinema o nei romanzi), una piccola perla surrealista, un terremoto che riusciva, a costo praticamente zero – un microfono e un paio di videocamere – a rinnovare lo scenario televisivo come non era più successo dalla nascita di Blob.

Microfono legato al dito, la mano protesa come quella di Dio nella michelangiolesca Creazione di Adamo, il ricciuto Antonio Rezza – uomo e personaggio allo stesso tempo – girava per i luoghi ed i nonluoghi affollati di Roma (la stazione, il cimitero il 1 novembre, l’ippodromo, il mercato, in trasferta alla Biennale), ripreso dalla sua compagna di avventure Flavia Mastrella, per innescare con le sue domande discussioni strampalate e surreali, per dare modo a quel tizio che vedi per strada e ti chiedi che tipo sia di sfogare la sua urgenza di comunicare, per trasformare la chiacchiera da bar in opera d’arte, o più semplicemente per farti sbellicare dalle risate mentre ascolti nonsense e ti godi le reazioni dell’uomo medio che come una fiera da circo viene stuzzicato, sguinzagliato, domato da Rezza.

Una tv come questa non c’è più e dubito che ci sia in giro qualche coraggioso dirigente di rete disposto ad affidare alla coppia Rezza-Mastrella un budget pari ad un abito della Ventura per provare a rivoluzionare di nuovo il piccolo schermo.
Per ora tocca accontentarsi di andare in rete e cercare su RaiClick e YouTube i video di Troppolitani, i corti, gli spettacoli teatrali o andarsi a comprare uno dei libri del “più grande performer vivente”, come Rezza si è autodefinito – da prendere sempre con la consapevolezza di chi è quello che lo sta dicendo… – prima in un’intervista all’Unità poi dalla Bignardi.

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