RACCONTI DELL’ETA’ DEL JAZZ
di Francis Scott Fitzgerald
Minimum Fax 2010 | Amazon
Questo è il periodo dell’anno in cui si iniziano ad aprire le finestre, e aprendo le finestre capita di sentire la musica che ascoltano i vicini: c’è la fan di Lady Gaga che si pettina come lei e canta e ci crede da matti, la senti in tutta la sua passione mista alla tristezza che viene dalla consapevolezza di non essere davvero Lady Gaga, ma una della Bolognina come tanti altri.
Poi si sono i paki e le cantilene religiose miste a iper-tricotico, pettinato e sdolcinato pop. C’è la casalinga panni stesi ad ogni ora e solo musica italiana. E quella che infesta i pomeriggi altrimenti silenziosi con le rime da prima elementare e post-gangsta dei neomelodici napoletani (che poi credo sia la stessa di Lady Gaga). I tre metallari death-trash-grindcore hanno traslocato prima di Natale e i nuovi inquilini non hanno ancora dato segni di vita (musicale).
Però capita molto di rado, anzi in effetti non capita proprio mai, di sentire al posto della musica qualcuno che legge a voce alta.
Noi siamo gli unici, credo, e lo dobbiamo a nostra figlia che ormai ha preso l’abitudine di addormentarsi solo dopo una, due, tre o una intera compilation di storie. Non avevo mai letto a voce alta prima che arrivasse lei. E mi ci è voluto un po’ per vincere la timidezza e lasciarmi andare in freddine ma efficaci interpretazioni dei personaggi di Harry Potter (adoravo fare Voldemort e mettevo un Avada Kedavra anche dove non c’era, come intercalare), lunghe, lunghissime descrizioni di paesaggi immobili (Il signore degli anelli) e azzardati – per la mia interpretazione “a mezza bocca” da jesino che ci pensa due volte prima di sprecare il suo tempo a muovere le labbra e a scandire bene le parole e i toni, invece di tirar fuori una piatta nenia che sale stonata giusto sul finale di ogni frase – virtuosismi di incidentali, coordinate, subordinate (Contro il giorno di Pynchon) con una musicalità che, riuscire a rifarla a parole significherebbe sentirsi come Bach mentre compone.
Ma immagina di ascoltare, con l’arrivo della Bella Stagione, le letture di tutti. Le voci che interpretano, più o meno bene, meglio o peggio di come ti aspetteresti a vederli in faccia mentre li incontri al supermercato o sul pianerottolo, autori sconosciuti o grandi classici, o romanzi cult che hanno fatto epoca. Vedi la tizia che sembra abbia nell’armadio solo tute rosa luccicanti da badante dell’est e poi la ascolti scendere nel buio baritonale di Ellroy, oppure il ragazzino moto-smanettone che prende/molla/entra/esce dal libro, dai personaggi, dalla vita mentre divora Il maestro e Margherita.
E come in ogni condominio che si rispetti c’è sempre quello che prima o poi mette su un disco dei Beatles, allo stesso modo ecco quel tizio silenzioso del palazzo accanto, quarto piano, quello con la mamma moribonda, quello che ha sempre qualcosa di cangiante addosso, e scacchi ovunque, e il baffo a manubrio, magro magro, una shopper sempre piena, sia quando entra che quando esce… Ecco, lui si metterebbe a leggere Fitzgerald.
Che è come i Beatles: prendi un disco a caso e dentro ci ritrovi praticamente tutto il sound rock/pop/indie degli ultimi 40 anni.
Racconti dell’età del jazz, di Fitzgerald è la compilation. Leggilo, inizia da dove ti pare, segui l’ordine che vuoi tu (non è mica un concept album!) e ti sembrerà di aver preso il libro sbagliato, visto che buona parte degli autori che hai lì nella tua libreria gli devono molto.
Prendi Un diamante grosso come il Ritz e crederai di avere tra le mani la sceneggiatura del prossimo film di Wes Anderson. Patata Lessa è un proto-giovane Holden (un po’ l’Helter Skelter di Fitzgerald). Oh strega dai capelli rossicci sembra Joseph Roth, ché ti senti invecchiare lì sul momento, mentre leggi (o magari al contrario come nel celeberrimo – causa Brad Pitt – Benjamin Button) e così via.
Com’è che il grande Fitz, cantore per eccellenza degli anni ’20, uno dei due pesi massimi della “generazione perduta” (l’altro era ovviamente Hemingway) lo abbiamo snobbato e messo negli scaffali meno in vista, in tutti questi anni, non me lo so spiegare.
Ma ora è tornato ed in gran spolvero, come un navigato gentleman in tuxedo, ghette e cilindro che se ne va al centro della sala per il suo ultimo ballo, in questo 2011 che – come ci ricordano gli amici di Finzioni – è decisamente il suo anno, tra ristampe, nuove edizioni e pure il remake, al cinema, de Il grande Gatsby (Di Caprio + Tobey Maguire).
Quindi vai a comprarti il volumetto verde-assenzio in questione, ringrazia quelli di Minimum Fax che ci hanno rimesso le mani affidando la traduzione (ottima) a Culicchia, poi apri la finestra e regala ai tuoi vicini un po’ di grotteschi, inquieti, metafisici, sognanti, incresciosi, iperrealistici, chiassosi, incespicanti, fastosi, essenziali racconti.
Leggi.
Alza la voce, ma interpreta bene, altrimenti ti urleranno un “Un po’ più di espressività, cazzo!” che ferisce molto più di un buon vecchio “Abbassa il volume, stronzo!”.